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Sulle tracce di un comunista anomalo

Dieci anni sono il tempo giusto per rielaborare un lutto e iniziare a occuparsi di chi non c’è più. Raccontare Lucio Magri (1932-2011) è l’obiettivo del libro di Simone Oggionni appena arrivato in libreria e sui siti (Lucio Magri, Edizioni Efesto, pp. 358, euro 15, 00).

di Aldo Garzia


È un bene che l’autore di questo primo lavoro di ricostruzione biografica sia un trentenne: ha conosciuto Magri negli ultimi anni e ha scritto sulla base della rilettura di molteplici testi e saggi, oltre che di relazioni a convegni. Ciò vuol dire che un accumulo di esperienze ed elaborazioni non è andato perduto. Efficace, poi, la scelta dell’editore di mettere in copertina la lettera che Jean-Paul Sartre scrisse nel 1962 a un giovane Magri per invitarlo a collaborare alla rivista Les Temps Modernes. Il filosofo francese era rimasto positivamente impressionato dall’intervento di Magri a un convegno dell’Istituto Gramsci in cui aveva tratteggiato le novità del neocapitalismo non solo italiano che si muoveva verso gli anni del boom economico.
ALTRETTANTO EFFICACE la scelta del sottotitolo che racchiude il lascito politico di Magri: «Non post-comunista, ma neo-comunista». Negli ultimi anni della sua vita, soprattutto con il libro Il sarto di Ulm (il Saggiatore), lui era infatti impegnato non solo a riconsiderare la storia del comunismo italiano ma a ritrovare le ragioni per la riaffermazione di un’identità a fronte di tutte le questioni che ponevano il 1989 e la fine del «socialismo reale».
La costante magriana – lo spiega bene questo libro – è stata mettere sempre a rapporto un patrimonio politico/culturale con le novità economiche/sociali. L’innovazione teorica e politica come assillo, dunque, rifiutando tuttavia l’azzeramento da cui bisognerebbe ricominciare da zero.
Oggionni ci consegna per intero in questa monografia l’originalità del personaggio Magri, che nel 1969 diresse la rivista il manifesto con Rossana Rossanda dando vita all’omonimo gruppo politico insieme a Luigi Pintor, Aldo Natoli, Eliseo Milani, Luciana Castellina, Filippo Maone, Valentino Parlato e tanti altri. Il mensile il manifesto apparve subito non come un gruppo di anti-revisionisti difensori dell’ortodossia che si stava tradendo, bensì come chi – sull’onda dei movimenti del 1968-1969 – proponeva il rapporto tra storia del movimento operaio e nuove soggettività di quel periodo in modo da operare il necessario rinnovamento di cultura e azione politica. L’anomalia del manifesto rispetto alle altre formazioni della nuova sinistra stava proprio in tale origine interna-esterna al Partito comunista.
A QUESTA ANOMALIA manifestina si aggiungeva l’originale pensiero di Magri: iniziale formazione cattolica nella Bergamo dei fermenti di papa Giovanni XXIII e del Concilio, l’adesione al Pci nel 1957, le precoci letture degli esponenti della Scuola di Francoforte (da Adorno a Marcuse), di John Kenneth Galbraith, Jacques Maritain, Augusto Del Noce, Franco Rodano, György Lukacs, molto Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. Sono autori che danno all’accostamento di Magri al marxismo un sapore particolare: il rifiuto dell’economicismo, le critiche puntuali del capitalismo maturo e della società di massa, della società dei consumi che erano estranee a una cultura marxista tradizionale e allo storicismo del gruppo dirigente del Pci.
Per Magri, grazie alla varietà dei suoi riferimenti teorici, la politica era dunque progetto, competizione di valori, aspirazione a nuovi modelli di organizzazione sociale, analisi di fase. Da qui la sua opposizione al «compromesso storico», che invece di lavorare al superamento e alla scomposizione dell’unità politica dei cattolici nella Dc, finiva per consolidare proprio quell’unico contenitore rendendo immobile una componente importante della società italiana. Il Pdup, il partito di cui fu segretario, racchiudeva tutte queste ispirazioni mai minoritarie in una esperienza collettiva.
Il libro di Oggionni, con prefazione di Luciana Castellina e post-prefazione di Famiano Crucianelli, contiene inoltre un inedito: si tratta della relazione che Magri tenne a Marzabotto nel giugno 2010 sulla storia e le prospettive dei comunisti italiani. A partire dal suo volume Il sarto di Ulm, è una disamina appassionata delle questioni che si erano aperte a partire dal 1989: contiene il consiglio a tenere lo sguardo costantemente in alto, rivolto «a un futuro lontano e a una storia straordinaria». Lui era intanto tornato nel Pci nel 1984, uscendo dal Pds nel 1991 non rinunciando alla ricerca e all’azione politica.
Per concludere, Magri ha insegnato alle generazioni che hanno partecipato alla vita del Manifesto, del Pdup e in generale della sinistra, un’idea peculiare della politica: occorre avere un pensiero critico sulla fase storica che si vive e sulla memoria del passato unendoli in un progetto sociale che deve prefigurare una alternativa al capitalismo nell’economia e pure nei valori individuali, collettivi. La sinistra che ci serve, anche ai nostri giorni, è quella capace di una rilettura critica della propria storia e di una moderna critica al capitalismo.

da il Manifesto del 3 marzo 2021