Due giorni dopo la morte di Lucio Magri, il Manifesto pubblica un dossier su di lui. Lo chiama Lucio in the sky parafrasando il famoso brano musicale dei Beatles. In quel Dossier compaiono i ricordi di chi lo ha conosciuto o ha lavorato con lui, ha condiviso battaglie e idee. Ci sono anche i pensieri di quanti lo hanno amato e hanno voluto esprimere con brevi scritti il proprio dolore. Ci sono poesie, canzoni e anche della musica.
Dai compagni – Lettere a Lucio
Le lettere dei compagni
Sono stato un allievo discreto e, credo, diligente di Magri. Oggi sono distrutto: è morto un pezzo di me. Fino alla fine, nel 1984, sono stato tra gli animatori della più grande sede romana prima de il Manifesto e poi del PdUP: quella di POMPONAZZI. Vorrei perciò riportare il pianto e i ricordi delle decine di compagni e compagne che in queste ore si stanno raccogliendo sulla rete (in particolare sul nostro gruppo di FB).
Eravamo, quasi tutti, “magriani” esagerati nei tanti, tormentati dibattiti che attraversammo. Ma quella passione per la discussione e poi per il decidere, a costo della solitudine, è stato l’insegnamento più potente e persistente di Lucio Magri. Molti di noi gli sono stati vicini, sempre, tutti da lui e dalla squadra meravigliosa che fu il manifesto (Luigi, Rossana, Luciana,Valentino, Eliseo) mutuarono la prassi in un collettivo conviviale ed impararono un comunismo libero. E’ morto per troppo amore il mio maestro di politica. Grazie Lucio.
Roberto Donini
Ripensando a Lucio Magri ripenso all'”exitus illustrium virorum”, a Seneca, allo Stoicismo. In silenzio.
Aldo Bacchiocchi
Cari compagni, Lucio Magri non è il primo comunista e non sarà l’ultimo a scegliere di morire quando da lui stabilito; e certamente non sarà l’ultimo. Prima di lui, cito a memoria solo a modo di esempi, avevano fatto la stessa “scelta” Paul Lafarge con la moglie, figlia di Marx e Vladimir Majakovskij.
Mi si conceda a riguardo una digressione, proprio in riferimento alla sua – di Lucio – opera testamentaria ‘Il sarto di Ulm”. Il Comunisnmo è – diceva il vecchio di Treviri – ‘Il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti’. Il Comunista non è il movimento reale, ma colui che attratto dal movimento storico del movimento reale se ne fa interprete. Non si è rivoluzionari perchè si fa la rivoluzione, ma perchè si crede in essa, cioè nella transitorietà di un sistema sociale barbaro come il moderno capitalismo.
Ora, il peso di una situazioner sociale complessivamente difficile può fiaccare e portare alla disperazione e perciò alla sfiducia anche un testardo combattente. Non va perciò catalogata come una scelta, perchè l’individuo non sceglie, ancor meno di morire anzitempo, viene a essere ucciso dal sistema sociale che lui ha inteso per tutta la vita – a modo suo – combattere. A maggior ragione va rafforzato l’impegno a resistere, accanto a chi è obbligato – per fattori oggettivi determinati – a far parte del Movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.
Michele Castaldo, Roma
Lucio Magri, una delle più raffinate e passionali intelligenze della storia politica della sinistra italiana ci ha lasciati. Mi sono formato dal lontano 1971 coi fondatori del Manifesto, poi tutto il PdUP, la mozione (2) Ingrao……
Ho attinto da Lucio Magri le sue lucide e complesse analisi politiche di fase e di prospettiva, dal suo rigore socio-etico e socio-civico e in diverse amichevoli occasioni il suo humour conciso e raffinato. Ci diceva: “Siamo usciti dal partito comunista, ma rimanendo, a differenza di tutti i fuoriusciti, comunisti e organizzati”. Notando anche qualche screzio del suo carattere, concordo col suo amico Notarianni.”Lucio portava con se grandissime qualità ma era carente di sentimenti ntermedi”.
Massimo Serafini mi raccontava, specialmente nel periodo delle divergenze con Rossanda, che dovendo “sopportare” le caratteriali “fermezze” di Lucio verso le posizioni di Rossana, scherzosamente Massimo gli infilava un ritrattino di Breznev nel cassetto della sua scrivania.
Approfittando delle mie annuali partecipazioni al festival del Cinema di Torino e venuto a conoscenza che sua figlia Jessica dirigeva e dirige l’Istituto Goethe del territorio di Torino e Piemonte, di mia sponte e con la complicità di Luciana Castellina, qualche anno fa ho voluto conoscerla. Lunedì mattina mi sono recato in piazza S. Carlo a salutare Jessica con annessi piadine e scuacquerone made in Romagna. La mattina dopo, sfogliando la stampa, resto affranto dalla notizia della tragica scelta di suo padre Lucio. Da tempo sapevo del suo grave stato di condizione psichica. Lo salutai un anno fa a Bologna alla presentazione-dibattito del suo ultimo libro “Il sarto di Ulm” (Jessica mi aveva invitato per la sua venuta a Torino all’Istituto Gramsci). Una lunga e interessante serata di buona politica dove Magri ha dato il meglio del suo lucido rigore analitico ad ampio raggio.
Ospite più volte a casa mia. Vari trasferimenti da e per Bologna dove in auto si intrecciavano conversazioni di vario genere, anche fuori dal crogiuolo politico, che mi riempivano piacevolmente testa e cuore. Gli ho coordinato, qualche anno fa, a Ravenna una serata per la promozione della Rivista del Manifesto con Giordano e Di Siena. Incrociando più volte Luciana ai vari festival del cinema gli chiedevo sempre cosa faceva Lucio.
Ho perso un maestro di vita. Pensando al mediocre magma politico dell’oggi, il suo acuto pensare e ricercare mi ha intensamente e floridicamente segnato. Il suo ampio materiale di testi, articoli, tesi va catalogato e reso fruibile per lo studio e la senbilità socio-politica delle giovani generazioni.
A Lucio: un abbraccio, un grazie, un ciao.
Ezio (Cicci) Randi, San Pancrazio (Ravenna)
Grazie Lucio. Da te, da voi, da noi ho imparato molto. Con te, Luciana, Lidia ho sognato, creduto, lottato, provato entusiasmo e rabbia, sperando di poter vivere secondo ragione e passione per costruire un mondo un po’ più giusto per tutti.
Ciao compagno Magri.
Altero Frigerio
Ricordo di Lucio. Lucio ed io eravamo compagni di banco in II media nell’anno 1944 – 45 a Bergamo, ospiti di parenti. Il padre di Lucio, pilota dell’Aeronautica era rimasto al sud, io con mio fratello eravamo affidati ai nonni, a casa dei quali si giocava con Lucio e con lui si discuteva sulle armi segrete tedesche, io entusiasta, lui scettico.
Era il primo della classe e considerato, dall’insegnante di lettere, molto maturo rispetto ai compagni. Ricordo il confronto sconsolante fra un suo tema e il mio. Era ricercato nel vestire (come permetteva la guerra), un gagà, con i bei capelli biondi sempre ben pettinati. Ci si vide l’ultima volta davanti ai quadri dei risultati scolastici: ottimo, buono etc. Maggio 1945.
Poi ebbi sue notizie aggiornate da mio cugino, il giudice Guido Galli, che lo aveva frequentato al Liceo. In seguito, diventato personaggio pubblico, appresi sue notizie, compresa questa tristissima, dai giornali.
Sandro Ajmar, Albisola Mare (SV)
A LUCIO
Ci siamo conosciuti sulle barricate nel mondo
tu dirigente io semplice militante
a discutere con tanti altri di comunismi possibili
ho letto oggi della tua decisione
non ci trovo nulla di strano anzi
io malato di un male incurabile accetto
sapessi quante volte ho visto e auspicato la morte
meglio del dolore e meglio della disperazione
poi un attimo di razionalità
non possiamo scegliere tutti l’abbandono
qualcuno deve rimanere a gridare all’orrore
di una medicina e di un scienza che sbaglia
non fosse altro che per testimoniare
con questo percorso difficile e personale
che non c’è liberazione dal domani
mi rimangono confusi ricordi
di compagni e amici che se ne sono andati
io adesso che sono ammalato scelgo altro
scelgo potendolo fare la vita
per qualche anno forse per pochi secondi
continuo la lotta continuo a lottare
Roberto
Le ragioni e gli insegnamenti di un commiato.
Nel primo numero senza numero del novembre 1999, l’editoriale non firmato che apriva “la rivista del manifesto” si chiudeva così: “La nostra ricchezza saranno perciò i lettori: che vogliamo coinvolgere in una iniziativa e in un dibattito permanente, in un lavoro comune che del resto – è essenziale per gli obiettivi che ci proponiamo, e che qui abbiamo sinteticamente riassunto. In un parola, e per tutti, uscire dall’apatia, intellettuale e politica.”
Lucio Magri, firmando invece l’editoriale dell’ultimo 56esimo numero del dicembre 2004, affermava che la “«rivista» è venuta ‘esaurendo la sua spinta propulsiva’. Per ragioni soggettive ed oggettive. È tuttora un buon prodotto – ‘interessante’ ci viene detto –, ma è inadeguata non solo rispetto alle proprie ambizioni, forse esagerate, ma rispetto alle necessità.” La necessità di uscire dall’apatia intellettuale e politica, uscita indispensabile per tornare almeno a sperare di poter inquadrare “una sinistra nuova in un mondo nuovo”, è oggi più che mai una necessità tanto impellente quanto ancora insoddisfatta, e destinata a rimanere insoddisfatta ancora a lungo, soprattutto se si spera di uscire dall’apatia ciascuno per proprio conto, ciascuno magari annaffiando di nascosto le proprie radici nell’attesa che quelle degli altri dissecchino definitivamente.
“Le ragioni di un commiato” era il titolo di quell’ultimo editoriale di Magri per la “«rivista» che aveva esaurito la sua spinta propulsiva; “le ragioni del commiato” di Magri dalla vita sono invece sue, e sono solo da rispettare. Rispetto senz’altro più facile da rendere per chi umanamente gli era lontano ed estraneo, e molto più difficile da rendere per chi gli era vicino ed amico, ma credo abbia ragione Parlato a notare che il suo suicidio non sia stato un fatto personale, ma un fatto consegnato alla riflessione pubblica, da cui trarne diversi insegnamenti.
A livello individuale credo se ne possa trarre intanto conferma che la vita nostra ci appartiene dal momento che ne veniamo consapevolmente in possesso, e dato che in questo mondo ad altri è concesso per legge e/o per volontà divina di farne l’uso che a loro dire “meglio” stabiliscono, è umanamente rivoltante che almeno altrettanto non si voglia riconoscere a chi di quella unica ed inimitabile vita risulta l’insostituibile titolare.
A livello collettivo con il suo congedo Magri ci manda a dire che il “gruppo” non può continuare a scaricare le proprie responsabilità sullo “stratega” di turno, e che la costruzione di una sinistra nuova in un mondo nuovo, capace di dare il proprio indispensabile contributo alla edificazione di una “società diversamente ricca”, o avrà il contributo di tutti, o non sarà.
Vittorio Melandri
Cari compagni del Manifesto, sono d’accordo con Parlato che l’atto di Lucio Magri non è “un atto di rifiuto di combattimento. Tutto il contrario della passiva rassegnazione”. Vorrei allora dedicare a Magri, al compagno Magri gli ultimi versi di una delle più belle poesie di Bertolt Brecht. La poesia si intitola “A coloro che verranno” … e gli ultimi versi dicono:
“…Oh, noi / che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, / noi non si potè essere gentili. / Ma voi, quando sarà venuta l’ora / che all’uomo un aiuto sia l’uomo, / pensate a noi / con indulgenza”.
In questi pochi versi è racchiusa, a mio parere, tutta la complessa e tremenda problematica di “fare il comunismo” Un abbraccio a tutti voi in questo momento di grandissima tristezza.
Remo Capone
Addio Lucio, ricorderò il tuo coraggio e l’umanità, il grande impegno profuso nella realizzazione di una sinistra vera, possibile e alternativa. I tuoi occhi pieni di luce spegnendosi ci hanno sottratto ogni speranza.
Maura De Angelis
Voglio essere esplicito: anche per questa tua ultima iniziativa sono totalmente d’accordo con te, compagno Magri. Nel metodo e nel merito. E scopro, anche per questo, di volerti bene e di stimarti più di quanto non avessi mai pensato.
Sandro Morelli, Roma
Ho rivisto Lucio Magri dopo anni in una libreria di San Lorenzo qualche mese fa. Abbiamo rievocato tempi ormai lontani ed ho avverito anch’io la sua amarezza e il suo sconforto per il presente ma non fino al punto di pensare che intedesse trarne conseguenze così estreme. Non mi riesce di capire la sua scelta ma la rispetto. Essa nulla toglie al dolore che provo per la sua morte, anzi lo rende più profondo e vero.
Emilio Gabaglio
Lucio Magri lascia tutti più poveri ma anche molto più ricchi. Un abbraccio enorme a tutti voi.
Roberto Pugliese
Anche a Bolzano nel 1974/75 nacque il Pdup e i cento compagni di Bolzano erano una forte aggregazione alla quale partecipai da ragazzino, operaio edile, manovale ma tanto idealizzato. Lucio Magri venne su da Roma e ci trasmise la sua passione politica, le sue tesi “escire dalla crisi e dal capitalismo in crisi” e tutto quanto girava attorno al Manifesto. Per me furono anni di apprendimento di quella che poi sarebbe stata la mia vita, stare dalla parte degli operai e degli ultimi (la centralità operaia e l’operaio intelettuale).
Con la sua scelta decisa, ma forte, Lucio Magri lascia un vuoto che spero riusciremo a coprire con l’ unità della sinistra che fu sempre una sua utopia.
Un abbraccio a tutti coloro che lo piangono. Viva Lucio Magri e viva il comunismo e la libertà.
Saluti fraterni e comunisti
Salvatore Falcomatà, Bolzano
PER LUCIO MAGRI
Insegnami ora a volare,
a volare come te,
sopra i meschini,
bassi orizzonti,
su maree di nebbie
dai confini insopportabili,
dove precipita la pietà
della fine e del nulla.
Insegnami ad ascoltare
i solitari estremi battiti del cuore,
a percepire l’ultimo respiro
verso il silenzio.
Insegnami a volare,
volare alto, volare contro
all’esistenza che uccide,
verso la crisalide che si dischiude
muta e solitaria nella sua apparente morte
per far nascere
la farfalla del sogno
tuo, mio, nostro
verso l’immenso.
Rosa Torelli
Il pensiero lucido, rigoroso e coerente di Magri ha educato ben più di una generazione. E lui ne era consapevole. Anche per questo la sua terribile scomparsa genera dolore e sconcerto.
Vittorio Fabricatore
Tutti dicono, e anche noi diciamo, che è giusto rispettare la sua volontà, per non indulgere nei riti della commemorazione e non scivolare nella retorica dei ricordi edulcorati.
Ma in realtà non possiamo, non siamo capaci di farlo e non vogliamo neppure tacere di fronte alla perdita dell’uomo che ha rappresentato per un lungo periodo la bella politica, l’avventura pratica e teorica di un gruppo, a torto considerato da molti solo un pugno di intellettuali, che ha detto qualcosa di originale nella storia della sinistra italiana.
Speriamo che si troveranno il tempo giusto e i modi appropriati per parlare di Lucio, e per tornare a parlare di noi.
Sandro Bianchi, Piero Bona, Bruno Borghini, Fabio Bruschi, Giuseppe Chicchi, Otello Ciavatti, Donata De Nittis, Diego De Podestà, Daniele Leardini, Pino Ottaviani, Giampiero Piscaglia, Antonio Zavoli – Rimini
Cari compagni, mi associo al vostro dolore per la perdita del compagno Lucio Magri.
Ricordo un suo intervento molto bello a Napoli, nei primi anni ’90, agli inizi del percorso della rifondazione comunista, allorché si soffermò sui paradossi di una società che moltiplica la produzione di beni di consumo sempre meno necessari a danno dei “consumi collettivi” e dei servizi sociali, dalla sanità ai trasporti al riassetto del territorio. Più recentemente, il suo “Sarto di Ulm” mi è parso uno dei contributi più riusciti sulla storia non solo del Pci, ma dell’intero comunismo novecentesco. Quel titolo e il fatto che avesse scelto di chiudere il volume con un documento politico, sebbene del 1987, confermano che per lui quella storia non era finita.
Alexander Hobel
Sono rimasto molto colpito dal suicidio di Lucio Magri, come credo tutti voi. Non lo avevo mai conosciuto personalmente, “il volpone argentato”, perchè militavo altrove, ma avevo letto una marea delle cose che aveva scritto, e seguito con attenzione e passione molte delle sue posizioni politiche, che pure condividevo solo a tratti. In particolare, non condivisi affatto quanto pensò e scrisse, e conseguentemente operò, tra l’altro sull’esplodere dei movimenti di “brutti sporchi e cattivi” degli anni ’77 e seguenti e, successivamente, sull’appoggio al partito della fermezza, nel corso del rapimento di Moro da parte delle BR; come ha rievocato sul Manifesto di ieri Loris Campetti, che si trovò con Magri a fare un comizio alla Fiat, in quei giorni.
Episodi, ma scelte indicative… Il fatto è che la realtà dei movimenti, ma diciamo pure la storia, non coincideva allora – e temo anche in seguito- con le aspettative di Lucio, con il quadro teorico e politico, con gli stumenti personali con cui osservava e interpretava e si collegava con il mondo… Non coincideva e via via non coincise piu’….
Da qui, forse una rigidezza: uno scontro tra la realtà (triste, difficile, di solitudine, con pochissima speranza …) e un “io” (certamente molto dilatato) che non la capisce e accetta per quello che è. E l’ Io ha preferito andarsene.
Provo grande compassione per Lucio, come persona, per il suo dolore personale, per la terribile esperienza della morte della moglie, per l’agonia della sua scelta. Ma anche il dolore che ha (inconsapevolmente ?) contribuito a diffondere. La sua morte lascia un’eredità pesante. Non basta pensare, prima, alle pompe funebri…
Mi viene da dire, molto sommessamente, che spero molto di riuscire, nel corso della mia vita, ad accettare con pazienza e coraggio la realtà, quand’anche divenisse “brutta sporca e cattiva”…
Alberto Poli
Ciao Lucio, maestro fino in fondo.
E’stato bello essere giovane quando c’eri tu.
Fausto Gentili
Un saluto a Magri, che credeva nel Comunismo, con i versi del poeta Hikmet: “le stelle esistono, benché i ciechi non le vedano”.
Grazie Lucio
Luciano
Ho conosciuto Lucio Magri per sbaglio, in coda dal medico della Camera, una decina di mesi fa. Non sapevo chi fosse (mi rivelò la sua identità una collega dopo che ci salutammo), ma quegli occhi azzurri e lo sguardo che esprimevano furono una calamita irresistibile. E così cominciammo a parlare. Era seduto su questo davanzale di marmo gelido, sul quale – nonostante i 78 anni – si era issato come un fuscello. Mi disse che era lì per fare il controllo medico annuale, ma che si sentiva in perfetta forma, nonostante le trenta Marlboro al giorno che fumava da decenni. Poi mi raccontò di essere stato deputato per vent’anni, ma che nel 1994 aveva rifiutato la ricandidatura perché aveva avvertito la decadenza della sinistra e della classe politica più in generale. Dopo pochi minuti di chiaccherata, salutò e se ne andò, scomparve così come era comparso. Fu un incontro fuori dallo spazio e dal tempo, di cui conservo un delizioso ricordo.
Alessio Festa, Roma
Ho trascorso molti anni militando prima nel Manifesto e poi nel Pdup, la mia prima tessera del Manifesto è del 1972 (non avevo ancora 18 anni). In quegli anni, grazie anche alla collaborazione seppure saltuaria col giornale, ho avuto modo di conoscere il “mitico” gruppo dirigente nazionale: Rossana Rossanda ovvero l’egemonia della cultura, Luigi Pintor con la sua intelligente ironia, Valentino Parlato con la sua grande umanità e via via tutti gli altri.
Di Lucio Magri ricordo la sua immensa capacità d’analisi politica unita ad un grande fascino personale; una volta, in un convegno che tenemmo alla scuola sindacale Cgil di Ariccia, sono stato compagno di stanza di Lucio Magri e, in quelle poche notti trascorse insieme, ho scoperto una persona di una sensibilità umana straordinaria.
E forse è stata proprio questa sua sensibilità a marcarlo così profondamente quando alle nostre sconfitte politiche si sono aggiunte le proprie tragedie personali.
Ciao Lucio, mi mancherai e sono convinto che la tua partenza sia una grande perdita per la sinistra italiana, quella sinistra che già allora tu volevi e tentavi di costruire come non residuale e capace di cambiare veramente il mondo.
A quelli che rimangono, come me ed altri, resta il sapore amaro delle nostre sconfitte unito all’immenso dolore per la tua perdita; ci resta solo la speranza di credere che un nuovo mondo sia ancora possibile. Ciao ancora Lucio, ciao!
Carmine Esposito
La drammatica morte di Lucio Magri conclude drammaticamente una vita vissuta nella coerenza, nella consapevolezza di vivere un’esperienza politica collettiva, purtroppo conclusa. Anche chi, come me, ha vissuto diversi percorsi politici (Lotta continua, DP) ha sempre avuto in lui un importante riferimento. Era ammirevole il suo rispetto per i compagni con i quali interloquiva; ricordo un dibattito pubblico a Ravenna, durante il quale confrontammo le nostre opinioni. Al termine, mi raggiunse per assicurarsi che io avessi ben compreso il suo pensiero. Ha concluso la sua vita insieme alla fine di una storia della sinistra destinata forse a rinascere, ma non a tornare com’era. Il dolore e’ grande per tutti i vecchi lettori del Manifesto.
Vincenzo Fuschini, Faenza
DUE “CANZONETTE” PER LUCIO MAGRI (E PER NOI)
Il tono degli occhi
direi scherzando
una nuvola i capelli
in the sky
perchè sky s’impara
più che nei cieli
la parola non finisce
aspettare la morte
leggendo Tolstoj
deciderlo in nome
della debolezza
tradurre la sorte
in tenerezza
basta un aiuto
buongiorno a voi
T.M. (RE)
Appreso triste notizia della perdita compagno Magri, con il quale ho condiviso dieci intensi anni della mia storia politica, dal 1970 al 1980, radiato con il gruppo storico nazionale, però io a livello territoriale a Napoli. avendo fatto parte del comitato centrale del PDUP, quindi conosciutolo personalmente ho potuto rendermi conto del suo valore politico e intellettuale oltre che del suo coraggio nelle scelte fatte. avendo solo voi come riferimento, porgo a voi l’espressione del mio profondo dispiacere per tale perdita, pur nel massimo rispetto per la drammatica scelta.
Pregandovi di trasmettere a tutte le persone a lui care questo mio sentimento. fraterni saluti
Ferdinando Razzi
In ricordo di Lucio e della sua compagna Mara, ricordando la sua continua e convinta dedizione politica a Bergamo e nel partito da lui fondato, Antonia con il proprio compagno Gianfranco Gervasoni, cofondatore con lire100 della vostra cooperativa, ricordando “gli amici di don Silvio” Ceribelli negli ultimi anni di militanza in area cattolica, con Carlo Leidi, Beppe Chiarante, Silvio Garattini ecc.e tutti quelli che ci hanno preceduti o seguiti nell’unica Luce eterna.
Antonia Fustinoni
Ero giovanissima negli anni settanta quando facevo politica per cambiare il mondo e Lucio Magri, come Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Luciana Castellina erano per me, come per altri giovanissimi (e anche di altre età), molto importanti per capire la società, il mondo e per capire come agire per cambiarlo. Poi non ho più fatto politica (riflusso?).
Oggi che non sono più giovane, che la società è andata in tutt’altra direzione da quello che avevamo sperato in tanti, ecco, la morte di Lucio Magri mi colpisce profondamente e mi addolora. La prima cosa che ho pensato quando ho saputo della sua morte è stata: se io, che non lo avevo conosciuto personalmente, avessi saputo che aveva deciso di morire, gli avrei chiesto di non andarsene, di restare ancora.
Spero che gli altri, la Rossanda, Parlato e la Castellina stiano bene e vivano a lungo
Mara
La mia è una testimonianza di donna semplice. Addio, Lucio, ti ricordavo come nella foto in prima pagina, ma non ti ho conosciuto di persona, come invece Rossana Rossanda quando abitava in via Lepanto al Lido di Venezia negli anni Venti e frequentavamo la scuola “Gabelli”. Tu, Lucio, sei entrato nelle case degli Italiani e noi abbiamo condiviso le tue idee e i tuoi progetti, ad esempio quelli sul divorzio, ancora prima della Legge. Con mio marito nella “Sala degli Specchi” a Venezia andavamo ad ascoltare le opinioni dei fratelli Pajetta e di Pietro Ingrao (l’ex partigiano Nullo) e conservavamo i numeri più significativi de il manifesto. Molte persone, fra cui il nostro Presidente della Repubblica, si sono espresse con commozione e comprensione, come leggevo ieri sul tuo quotidiano. E penso che la tua scelta estrema non fosse dovuta solo alla depressione in seguito alla perdita della tua compagna, ma anche alla pessima politica degli ultimi anni, che non era certo quella cui ti eri dedicato da sempre con ammirevole impegno. Ora noi continuons le combat per un cambiamento effettivo e proficuo in cui crediamo
Nulla Dazzi, Padova
Con dolore e tristezza, ho appreso la notizia della morte del compagno Lucio Magri. Le modalità della sua morte mi hanno ancor più addolorato e sconvolto. Non lo conoscevo, ma spesso leggevo i suoi articoli, sempre intelligenti e penetranti. Sono un ex studente dell’Università Statale di Milano, già militante della sinistra rivoluzionaria ed ex occupante della casa occupata di via Moncalvo, a Milano. Appartengo alla generazione ribelle del ’77, e tale sono rimasto. Ci ha lasciato un uomo che è stato sempre coerente con le sue ideee, che ha dato un grande contributo alla costruzione di una vera sinistra antogonista in Italia, e che abbiamo sempre ammirato. Salvo per quest’ultimo episodio della sua vita.
Avv. Marcello Ritondo
Ieri sono tornata a casa e i miei figli mi hanno detto: hai visto? è morto De Seta. Poi è morto anche questo Lucio Magri: lo conoscevi? Sì lo conoscevo, militante da giovanissima mi ricordo quelli che erano allora i modi di essere di molti in quel mondo: la vanità della “bella analisi”, la immodesta convinzione di essere piazzati al centro del fiume della storia, a interpretarne il corso, la vacuità oracolare di certi nessi (filosofia tedesca e proletariato), anche il compiacersi assieme di cultura, strenuo impegno, vita elegante. Tutto finito, e non trasmesso ai figli, nessun rimpianto. Ma ecco Lucio Magri che fieramente se ne va, e regala la sua vita a una donna amata: c’era anche grandezza. Con affetto
Violante Bigi
La Società Operaia di Mutuo Soccorso d’ambo i sessi “Edmondo De Amicis”, di Torino, che ha da tempo iniziato un percorso di “approfondimento divulgativo” sulla dignità del fine vita, lo ricorderà con letture pubbliche, anche in occasione delle proprie iniziative, di brani del/dal suo “Sarto di Ulm” e lo ricorderò davvero volentieri, perché è importante non dimenticare!
Giorgio Viarengo presidente SOMS De Amicis di Torino
La triste notizia della scomparsa di Lucio Magri ha richiamato alla mia memoria gli anni lontani che lo videro svolgere un ruolo di rilievo nella vita politica e parlamentare italiana dando prova del suo talento e del suo spirito indipendente. Essendo stato anch’io testimone di quel suo impegno e partecipe di quelle stagioni, desidero associarmi con sincera partecipazione al cordoglio che si è espresso nel ricordo della sua figura.
Giorgio Napolitano
Scrivo a voi per esprimervi quanto sono colpito e addolorato per la morte di Lucio Magri. Siamo stati per tantissimi anni – sin da quando, per una breve stagione, da ragazzo, simpatizzai per il manifesto- militanti della sinistra, molto vicini e al tempo stesso lontani per le scelte politiche diverse in passaggi cruciali della nostra storia. Ma quello che mi ha sempre colpito in Lucio è stato il fatto che, sia pure nella radicalità delle sue scelte, non ha mai rinunciato a misurarsi con il realismo della politica. Anzi, non ha mai smesso di alimentare la passione politica, intesa come analisi delle forze in campo e capacità di misurare i passi avanti possibili, anche nelle condizioni più difficili. Rispetto la sua scelta, perché, conoscendolo, capisco che egli abbia valutato che per lui non c’era davvero altro da fare. Sono vicino ai suoi cari, ai suoi compagni, al manifesto.
Massimo D’Alema
Lucio Magri ci ha lasciato. Se ne va una delle intelligenze più vivaci e straordinarie della storia del movimento comunista italiano. Una storia che nessuno potrà cancellare e di cui Lucio ci ha parlato nel suo splendido “Il sarto di Ulm”. Ha voluto morire da vivo. Grazie Lucio.
Andreina Albano
Con Lucio Magri se ne va una delle personalità più intelligenti e acute della sinistra italiana. Grande è sempre stata la sua attenzione ai movimenti, in particolare a quelli contro la guerra. Lo ricordiamo appassionato partecipante alla grande manifestazione di Roma, che trent’anni fa segnò la nascita del nuovo pacifismo italiano. Ci lascia, col suo ultimo libro Il sarto di Ulm una straordinaria testimonianza di un’epoca che ha segnato in modo indelebile questo Paese.
Ciao Lucio.
L’Arci non ti dimenticherà.
PER TUTINO E MAGRI. Ieri Saverio/per infermità e vecchiezza/non certo mentale/oggi Lucio/per meditata scelta/di spezzare/la nebbia densa dei giorni/uguali senza futuro/non più rischiarati/dalla sua presenza./Così giovani/i nostri vecchi/che fino a ieri/hanno dato senso/alla storia nostra/vituperata/o solo azzittita/s’incamminano/uno dopo l’altro/per il sentiero/dell’utopia disincarnata/e perciò perfetta./Incedono/con passo leggero/con l’eleganza ch’era/già annuncio/del pane e le rose/sereni loro/in fondo appagati/noi sgomenti/e ancora più incerti/lungo il traforo/che non vede luce.
Annamaria Rivera
Esprimo profondissimo dolore per la terribile scomparsa del compagno Lucio Magri. La sua è la vita di un comunista libero e rigoroso dedicata al movimento operaio e alle lotte per il lavoro. Una vita dedicata alla costruzione di un’altra società, un non arrendersi mai, fino alle estreme conseguenze, al dominio delle banalità del pensiero unico. Ci mancherà il compagno Lucio Magri, ci mancheranno il suo rigore primo di tutto, la sua ricerca continua, la sua battaglia intransigente. I metalmeccanici e la Fiom perdono un compagno e un amico, e così pure tutte e tutti coloro che continuano a lottare per una società diversa. E che, con Lucio, pensano ancora all’apologo brechtiano Il sarto di Ulm che ispirò l’ultimo libro di Lucio. Ti sia leggera la terra accanto alla tua cara compagna, caro Lucio ti salutiamo con tutto il nostro dolore.
Giorgio Cremaschi, Presidente Comitato centrale Fiom
Partecipo al lutto dei compagni e degli amici per la scomparsa di Lucio Magri, compagno coerente e intelligente, militante della sinistra italiana. Il suo contributo critico è stato sempre limpido e costante. Ricordo in questa occasione anche la stima e la considerazione reciproca che lo legava con Riccardo Lombardi. Certamente lascia in tutti il ricordo di una vita posta all’impegno dell’aspirazione ad una società radicalmente diversa da quella che ci vorrebbero imporre i rapporti di forza vigenti nel mondo contemporaneo.
Valdo Spini
Lucio Magri non è più tra noi. Ha deciso volontariamente di porre fine alla sua esistenza e noi lo salutiamo, felici di aver potuto condividere con lui i giorni passati sopra questa terra. Ciao Lucio.
Paolo Ferrero
Caro Valentino, la morte cercata di Lucio è certamente un grande dolore per quanti l’hanno conosciuto. Ma è al di là di tante inutili prediche – un suo diritto, un diritto inalienabile della persona di fare della propria esistenza quello che vuole, quello che decide. Avendone fatto l’esperienza con altri cari, penso che il suicidio non è mai ‘per’ o ‘contro’ qualcosa o qualcuno. Il suicidio è un guscio che esplode. È quando i (brutti) pensieri di sé non ci stanno più dentro. Quando non c’è più spazio. Ti prego di trasmettere il mio fraterno abbraccio a Rossana e agli altri compagni.
Mathias Deichmann
Ci ha lasciati Lucio Magri, e il modo con cui ha scelto di farlo testimonia ancora una volta tutto il suo coraggio e tutta la sua lucidità. Nella sua scelta vive una libertà straordinaria, e la consapevolezza che il senso di vertigine può determinare la rottura dell’equilibrio e del limite che separano la vita dalla morte. Di fronte a questo, alla grandezza tragica dei nostri destini, non possiamo che restare muti. Ed è forse solo la scelta consapevole della morte a restituire libertà a ciò che per sua natura è irrevocabile tanto quanto insondabile. Magri in questi ultimi anni aveva lavorato ad un libro e due anni fa lo aveva pubblicato. Già nel titolo, “Il sarto di Ulm”, rievocava uno straordinario apologo di Brecht. Alla fine del Cinquecento un sarto della città di Ulm, convinto di poter volare, costruisce un marchingegno molto rudimentale e tenta la sorte, presentandosi dal vescovo in cima alla grande cattedrale. La prova fallisce e il sarto muore schiantato a terra ma l’uomo, alcuni secoli dopo, imparò a volare. Sicuramente malgrado questo tentativo. Forse, in parte, anche attraverso e per tramite di questo errore. Per Magri questa scena è l’allegoria di un sogno, di un progetto e di una lotta chiamata comunismo.
E allora, proprio perché il dolore della morte ci rende afoni, l’unico modo per omaggiare Lucio è confrontarsi con la sua vita e con quel sogno, che equivale a confrontarsi con i tentativi falliti e gli errori della nostra storia.
Simone Oggioni www.reblab.it
Mai avrei pensato finisse così. Tu hai deciso e noi dobbiamo accettare, ma che fatica. Ciao Lucio, grazie del rigore, della bella testa e della bella faccia. Fai buon viaggio. Vorremmo poterti assicurare che quando tornerai troverai in un pianeta migliore, siamo in tanti a non smettere di darci da fare per costruirlo.
Silvia Palombi
Ci uniamo alla commozione del colletivo del manifesto e di tutta la sinistra per la scomparsa del compagno Lucio Magri. Senza la sua testimonianza molta della nostra storia politica non ci sarebbe neppure mai stata. Nel suo ricordo, un motivo in più per l’impegno a far vivere il nostro giornale.
Il Circolo “Amiche e amici del manifesto” di Ravenna
Ospite in una casa di contadini, ad un tratto Lucio si allontanò. Su quel masso nel torrente Penelo a lungo si sedette a pensare. Così i compagni della Lunigiana amano ricordarlo.
Luigi, Alberto, Ughetta, Elisabetta
Per noi che siamo cresciuti nel manifesto Lucio Magri era parte di un’esperienza straordinaria: Pintor il genio giornalistico, Rossanda l’ardimento intellettuale, Parlato la vis polemica, Castellina la grande inviata, Magri lo stratega politico. Avendolo vissuto così, come il timoniere, sicuro di sè e sempre lucido, il modo disperato della sua morte mi suscita dolore e infinita tenerezza. Non voglio discuterlo ma portarlo dentro di me, come una ferita, una domanda irrisolta, sui suoi e nostri fallimenti.
Carmine Fotia
Un grande abbraccio carico di amore e sofferenza a un compagno di una vita.
Mario Agostinelli, Claudio Mezzanzanica
È dal 1969 che camminiamo insieme, dal manifesto rivista con tutti i rispettivi passaggi. Ci sei mancato ultimamente, speravamo in un tuo ritorno, ma non così. Riposa in pace. Ciao ti porteremo un fiore a Recanati.
Gli amici del manifesto di Voltana
Siamo costernati dalla notizia. Non possiamo dire che ci ha sorpreso. Conoscevamo le intenzioni di Lucio, così come le conoscevano i suoi amici più vicini. Però, per quanto attesa, la notizia ci ha colpito profondamente. Magri lascia come testamento politico il suo libro “Il sarto di Ulm”. Credeva, come crediamo noi, che si tratti di un libro fondamentale per capire il secolo passato. Aspettava con ansia le successive traduzioni in spagnolo e inglese. Sapevamo che una volta portato a termine questo impegno sarebbe venuto il suo addio definitivo. Ci sentiamo molto onorati di essere stati i suoi editori in Spagna e gli saremo eternamente grati di questa scelta.
Hasta siempe amigo, onoreremo il tuo lascito.
Editoriale «El viejo topo» Barcellona, (Catalogna, Spagna)
La notizia della morte di Lucio Magri ci lascia profondamente costernati, non solo per la perdita inestimabile ma anche perché avevamo la speranza di invitarlo in Brasile nel 2012, quando uscirà l’edizione in portoghese del suo libro Il sarto di Ulm che ci aveva autorizzato a pubblicare in Brasile. Speriamo di onorare la fiducia che ci ha dato e mantenere vivo il suo lascito.
Ivana Jinkings Editorial Boitempo, San Paolo (Brasile)
Ci ha lasciati Lucio Magri. Il mio primo segretario, quando a vent’anni aderii al Pdup, il partito con la gambetta corta, la sigla anomala come il nostro esperimento. Si infiammava, parlava di cose grandi come non pensavo avremmo potuto raggiungere, ma almeno lui ce le descriveva. Erano gli anni del Vietnam, del 1 maggio 1975, primo maggio di festa e titoli rossi sul manifesto, gli anni della distanza grande ma piccola dal Pci, che non si è mai colmata. Gli anni del primato della politica sull’economia, che vorrei tanto tornasse in tempi in cui diventiamo tutti responsabili, e di conseguenza corresponsabili. Mi hai insegnato tante cose, nei duelli fra titani con Capanna, nei quali ho imparato la sofferenza di non saper scegliere, che mi accompagna tutt’ora. Ciao, segretario col fiocchetto (il papillon), come diceva sempre mio fratello. Con te non saremo mai soli.
Marcello Pesarini
Per me vecchio sostenitore e abbonato de il manifesto la morte di Lucio Magri è la perdita di un pezzo della mia storia. Ho conosciuto Lucio quando veniva a Verona a fare iniziative e riunioni con noi del gruppo del manifesto nei primi anni ’70 ed ho avuto anche il piacere di ospitarlo a casa mia. È stato un maestro di politica e di vita anche nella sua ultima scelta. Un abbraccio a tutte/i e in particolare a Valentino.
Roberto Leone
Era un uomo intelligente, ma se ci si limita a questo, Lucio non avrebbe fatto questa scelta. Ciò dimostra come la sofferenza possa sopraffare l’intelligenza. Non è stata la sua vita un fallimento, ma è stata una fragilità la sua scelta.
Carlo Fresu, Cagliari
«Il vostro trentesimo secolo/sorvolerò/lo sciame d’inezie/che dilaniano il cuore/»… Ritorneremo «nei tempi remoti/del comunismo»… Addio Lucio.
Pino Sfara, Marina di Gioiosa J. (Rc)
Mi unisco alla commozione del collettivo de il manifesto per la morte di Lucio Magri. Ricordiamolo, facendo vivere il giornale.
Daniele Leardini, Rimini
Ricordo quando, a 15 anni, vendevo il manifesto a Roggiano Gravina (CS). Alcuni miei amici e compagni, quando parlavano di lui o della Rossanda o di Luciana Castellina, li chiamavano con il nome: «la posizione di Lucio… quello che dice Rossana..Luciana…», a me non riusciva di chiamarli per nome e li citavo con i cognomi. La figura di Lucio Magri contrasta con Penati, squallido braccio destro di Bersani che non si era accorto che il suo capo della segreteria facesse tutto ciò che ha fatto; contrasta con un’Italia che dà quasi un terzo dei voti a chi fa feste porno; contrasta con Vendola che scrive il suo nome sulla lista di partito; contrasta con chi spera in un’alleanza con Fini, dimenticando il passato di Fini; contrasta con Veltroni, che scrive libri sulla tragedia del piccolo Alfredino; contrasta con Fassino e la sua banca, con D’Alema e tantissimi altri; contrasta con l’Italia di oggi in modo stridente.
Un caro saluto a tutti voi del manifesto e un ciao a Lucio Magri che apparteneva ad un’Italia onesta, pulita, intellettualmente aperta al futuro e ai cambiamenti sociali verso una società più giusta e più civile.
Renzo Palermo
Desidero esprimere il più profondo e sincero dolore per la scomparsa di Lucio Magri.
Elio Cavina, Conselice (Ra)
Con profondo cordoglio apprendiamo della scomparsa del compagno Lucio Magri, grande intellettuale e dirigente comunista, fondatore de «il manifesto». Vogliamo ricordare la sua lunga militanza politica nella città di Bergamo come dirigente della federazione del Pci. La sua morte lascia un vuoto in tutta la sinistra.
Ciao Lucio!
Federazione Prc Bergamo
L’alfabeto della politica e la relativa passione li ho appresi attraverso la lettura dei fatti salienti operata da figure che hanno rappresentato un mio costante punto di riferimento a far tempo dal momento in cui, da “studente medio” privo di chiavi di lettura, assistevo agli avvenimenti un po’ in disparte. Di tale fondamentale lezione, vieppiù indispensabile in una fase di ancora maggiore difficoltà intepretativa rispetto all’epoca della mia (nostra) gioventù, sono e sarò sempre grato ai compagni Luigi Pintor, Lucio Magri e Rossana Rossanda. Che la terra ti sia lieve, Lucio.
Riccardo Camano
La scomparsa di Lucio ci ha colpiti nel profondo. Con lui e con tutti i compagni del gruppo del «manifesto» abbiamo camminato insieme sin dall’inizio di questa magnifica avventura. Lucio è stato un compagno d’eccezione e resterà nel nostro cuore. Oggi siamo molto, molto tristi.
Ciao Lucio.
Carlo e Giovanna Alberganti, Verbania
Un’infinita tristezza. Una grande fortuna, nella vita, averlo incontrato,lui e compagni di quella levatura intellettuale, che ci hanno aiutato a riscoprire il comunismo, a prenderci in carico “il mondo grande e terribile”. Per me un decennio di avventura politica, 1969-79, intensa, totalizzante, tanto formativa (della mia maturità) ed entusiasmante quanto, a tratti, travagliata. La sensazione di percorrere sentieri inesplorati, al limite delle nostre possibilità. L’ultima volta che ebbi modo di parlargli, nel 2000, credo, mi disse, con una venatura di malinconia: «Noi vecchi abbiamo già dato». Oggi posso leggere in quelle parole, quasi una premonizione, l’amara constatazione di una sconfitta, anche personale. Se mi è consentita, in questo momento di dolore, una precisazione, una correzione circa il profilo biografico pubblicato, debbo ricordare che tutto il gruppo storico del manifesto (meno Aldo Natoli) concorse a promuovere nel 1974 il Partito di unità proletaria per il comunismo, tant’è che il quotidiano per alcuni anni portò come testatina non più “quotidiano comunista”, ma “unità proletaria per il comunismo” (e Vittorio Foa fu co-direttore). Le rotture e le divisioni vennero dopo.
Addio, caro Lucio!
Giacomo Casarino
Caro segretario, un ultimo grandissimo abbraccio. È stato un onore poterti seguire nelle tante battaglie politiche.
Franco Bassi
Ill dolore della solitudine può essere talmente atroce da svuotare di senso e speranza ogni cosa. Non mi affretto a liquidare la tragica decisione di Magri come “causata dalla malattia della depressione”: esistono anche dolori coi quali non tutti possiamo scendere a patti. La sua vicenda politica per me è stata fra le molte che hanno caratterizzato la storia italiana, senza rappresentare un vero e proprio punto di riferimento. La conclusione della sua vicenda umana lascia invece interrogativi e riflessioni che mi accompagneranno molto più a lungo.
Ciao compagno.
Sara
Cari amici e compagni, la notizia della morte di Lucio Magri è davvero molto triste e mi lascia costernato. Ho conosciuto Lucio a Roma insieme ad altri compagni del «manifesto» e poi l’ho rivisto in Messico, in occasione di una serie di conferenze che facemmo all’Unam, l’Università autonoma, insieme a Rossana Rossanda e Fernando Claudìn. È una perdita che sentiamo tutti e tutti cercheremo di onorare la sua memoria.
Anibal Quijano, Lima (Perù)
La morte di Lucio mi ha lasciato tristissimo. La sua auto-biografia è un’opera notevole e mi rallegra il fatto che sarà pubblicata anche in portoghese. Ho avuto e ho per lui un rispetto e un’ammirazione enormi. È morto prendendo una decisione difficile, come ha sempre fatto. Onoriamo la sua memoria continuando a lottare.
Boaventura de Sousa Santos, Coimbra (Portogallo)
Caro Valentino, cara Rossana, ho appreso stamani della scomparsa di Lucio e sento il bisogno di parlarvi, sebbene la distanza me lo impedisca. Parlarvi, così come si fa con i congiunti in un momento di lutto che coinvolge chi viene prima e chi viene dopo. Ho conosciuto Lucio per telefono, all’indomani della fondazione della “Rivista del manifesto”. Avevo appena cominciato a collaborare alle pagine culturali del quotidiano e mi parve una cosa enorme che – come mi disse Galapagos – «Magri ti legge con attenzione e vuole che collabori alla rivista». Ci siamo sentiti spesso, in quegli anni, e anche visti: una volta nella sua bella casa di piazza del Grillo, in un pomeriggio primaverile assolato, a chiacchierare di capitalismo e stato, poi in occasione della riunione che segnò il congedo della rivista dai suoi lettori e collaboratori. Lo ascoltavo così come lo leggevo: con l’attenzione critica che si deve a chi non solo ha vissuto, ma ha anche concorso a fare la storia di una parte importante della sinistra di questo Paese. Ma anche e soprattutto con la gratitudine per aver voluto che di quella storia – sia pure in piccolissima misura – facessi parte anche io. È la stessa attenzione critica e la stessa gratitudine che sento per voi, che immagino adesso colpiti in uno degli affetti più cari. E che mi induce a stringermi a voi in un rispettoso e affettuoso abbraccio.
Luigi Cavallaro
Cari amici e compagni, mi unisco al vostro dolore per la scomparsa di Lucio Magri. Negli anni lontani dell’autunno caldo e delle grandi lotte operaie, abbiamo avuto diverse occasioni di incontro e anche di iniziative comuni, spinti dalla speranza che da quel movimento potesse nascere una realtà politica nuova. Non è stato così e per chi, come Lucio, vi ha partecipato con convinzione è rimasta la testimonianza dei principi e la coerenza ad una battaglia che dovrà essere continuata. La sua scelta personale lascia un po’ attoniti, perché preferiremmo che fosse rimasto tra noi. Per me, cristiano, penso non solo al giusto rispetto della volontà personale, ma anche che Dio non guarda al come si muore, ma a come si è vissuto e la vita di Lucio rappresenta un grande e nobile esempio di dedizione alla causa di una società più giusta per tutti.
Sandro Antoniazzi
Ragiono da credente, in continuità con i ragionamenti di una volta con Lucio; infatti quante volte negli anni ’70, quando ebbi con lui frequentazione politica, parlammo, in assemblee e individualmente, di questioni tipo fede, coscienza individuale e collettiva, alienazione religiosa, Chiesa-Stato ecc…! Che dire ? Le reazioni “cattoliche” significative sono state principalmente due : l’editoriale di Marina Corradi sull’Avvenire del 30 novembre, triste e deprimente, predicatorio contro l’eutanasia, poco caritatevole, e quello di Vito Mancuso su Repubblica del primo dicembre che chiede rispetto, silenzio, dice che nella Bibbia non c’è mai una condanna esplicita del suicidio e ricorda le parole di Gesù: “non giudicate” (Matteo 7,1). Sono d’accordo con Mancuso. L’intransigenza etica che ha portato Lucio all’estremo non la capisco, non la condivido, solo quella gli era rimasta del suo complesso modo di fare politica, con tante analisi, tante strategie e anche tante tattiche (ma che differenza da tanti omuncoli presenti ora da protagonisti sulla scena politica!). Io, da credente,credo che anche per Lucio ci debba essere, dopo la morte, un futuro, di serenità, e, magari, di gioia e di felicità. Che bello! Anche di questo possiamo parlare.
Vittorio Bellavite, Milano
Caro Valentino, ho conosciuto Lucio Magri, gli ho parlato una sola volta. Eravamo a Bari, alla Pignata, la notte in cui usciva il n.1. Mi chiese con un sorriso avvolto in una nuvola di Gitanes: «secondo te quante ne vendiamo?». «Quante ne tirate?» risposi. 25.000, disse. La mia risposta fu: le venderete tutte. Rilanciò: «vuoi scommettere che ne vendiamo il doppio?» Scommettiamo una cena. Vinse lui. Credo che ne vendeste più di 100.000. Non ho mai saldato il mio debito. Non l’ho mai più incontrato. Quella sera fumammo molte Caporal-Gitanes. Lui era felice, il suo sorriso era radioso. Avrei sempre voluto rivederlo. Ma la vita corre rapida. Mi dispiace una sola cosa: la burocrazia, la Svizzera, la casa blu, i pettegolezzi che saremo costretti a leggere. Aveva anche lui diritto al suo letto, ai suoi amici, alla sua casa. Come nelle invasioni barbariche in quel bellissimo film.
Bene, ho letto la tua intervista a R. di oggi. Tutto giusto, perfetto. Anche la tua insistenza sugli ottant’anni. Anch’io ne ho 80. E per giunta una moglie che si chiama Mara. Con la quale vivo da quasi cinquanta. E so cosa vuol dire. Non sono poche le notti in cui si vorrebbe spegnere la luce. Per sempre. Ma ogni mattina è un altro giorno. Se inventassero un sistema facile come spegnere la luce potremmo contare molte migliaia di decessi ogni notte. Speriamo che non ci sia l’elettricista capace di inventarlo. Come diceva un amico della nostra gioventù: «non permetterò a nessuno di dire che ottantanni sono il miglior momento della nostra vita». Un saluto e un ricordo affettuoso.
Antonio Mallardi, Bari
IN MEMORIA DI LUCIO MAGRI E MARIO MONICELLI
Dalla vita si è staccato,
per convinzione ammalato,
male ormai entrato nel cervello;
in politica si era impegnato.
Della sinistra considerato “il bello”
da tutti verrà rammentato
per le battaglie fatte in passato,
un tratto di vita con “Castellina”
la donna energica che aveva amato.
I giornalisti Pintor e Parlato
il “Manifesto” avevan fondato
nella clinica svizzera s’ è “curato”
per vincere l’ultima gara:
Lucio ha preferito la bara.
In Recanati accanto sua moglie Mara
senza fronzoli e ritornelli;
stesso gesto di Mario Monicelli.
Le mie idee tanto distanti
inchiniamoci per questi giganti
per le forze d’animo drammatiche dimostrate;
intercedano in cielo angeli e beati.
Riposino in pace con le mogli.
parleranno, films, scritti
ai posteri in eredità lasciati
Santino Adamo Loddo
Il Manifesto settimanale e poi quotidiano accompagna la mia vita dagli anni settanta, l’ultimo periodo in cui è sembrato possibile costruire in Italia un’alternativa storica alla società del Capitale.
Abbonato nel 1971, vi ho letto, vi ho seguito, vi ho lasciato, vi ho ripreso e mi avete fatto arrabbiare in più di un’occasione. Quante volte avete già sentito un commento simile?
Il giornale ha saputo, in tempi di riflusso, di decadenza, di obnubilamento delle coscienze, rimettere in circolo la coscienza storica ed il pensiero critico; favorendo mobilitazioni memorabili ha contribuito a fronteggiare il tentativo di liquidare la Storia e la memoria.
Lucio Magri è stato un compagno di viaggio, un comunista ed anche se il suo percorso all’interno della sinistra extraparlamentare, come si diceva un tempo, non è stato il mio, gli voglio rendere omaggio con affetto pur non avendolo mai conosciuto. La sua scelta mi ha colpito ed addolorato, suscitando empatia e rispetto. Non mi interessa dialogare con chi si è permesso di criticare tale scelta da più tribune ma di esprimere alcune considerazioni sull’articolo di Marco Travaglio, pubblicato in parallelo con quello di Paolo Flores d’Arcais.
Leggo Travaglio ed il Fatto e sostengo anche questa impresa editoriale, tuttavia il taglio dell’articolo mi ha ferito, irritato. A tratti mi è sembrato derisorio quando Travaglio descrive Magri come un comunista sconfitto, depresso, borghese, che organizza la festicciola tramite la cameriera sudamericana. Che disprezzo! Trovo invece questo addio un modo dolce per lasciarsi, una camera di compensazione a distanza. L’articolo poi prosegue addentrandosi nei meandri del penale, della deontologia professionale, adducendo argomentazioni complesse che mi confermano quanto si sia ancora lontani dall’affermazione di decisioni che riguardano esclusivamente l’individuo e che verso le quali nessuno deve “metterci il becco” per decenza. Allora, da un altro sconfitto, ma mai domo, un saluto a voi della Redazione: resistete!
Onore al compagno Lucio Magri.
Eriberto Mazzotti, insegnante
Bruno Amoroso – Lucio Magri in Danimarca
Lucio in the sky
Bruno Amoroso (*) – 6 dicembre 2011
Lucio Magri in Danimarca
La vita e l’impegno politico e culturale di Lucio Magri hanno accompagnato e sostenuto quella di molti di noi che hanno creduto, e credono, in un progetto di cambiamento sociale radicale dei cui costi ci dobbiamo far carico. Una ricerca continua per un futuro più giusto da costruire giorno per giorno, con intelligenza e con l’impegno della politica, insieme alle classi sociali sfruttate e emarginate. Un impegno che mai si è diviso dalla solidarietà con le lotte dei popoli del mondo aggrediti e sfruttati dall’Occidente.
Sono gli anni in cui l’Europa esisteva nello scambio intellettuale e nella solidarietà dei movimenti operai, nel parallelismo delle lotte sociali in Francia, in Italia e poi in Danimarca, in cui paesi come la Svezia con figure storiche come Olof Palme che indicavano la via dell’internazionalismo e della solidarietà con le lotte di liberazione in Asia e in Africa. Lo sforzo comune era quello di guardare oltre l’orizzonte storico del capitalismo, seguendo esperienze ed elaborazioni diverse ma senza perdere la direzione.
Di tutto questo e dell’attenzione per le elaborazioni e le esperienze della sinistra in Italia ci sono forti tracce anche in Danimarca.
Gli scritti di Antonio Gramsci, insieme a quelli di altri marxisti italiani, costituivano il curriculum della cultura di sinistra anche in Danimarca e furono oggetto di studi rigorosi anche in sede accademica. Frammenti del dibattito politico furono portati e pubblicati anche in Danimarca da me e da Vibeke Sperling, con la pubblicazione di testi di Lucio Magri sulla crisi e sul progetto nuovo di società auspicato in quegli anni.
La casa editrice Modtryk di Århus pubblicò «Arbejderbevægelsen og Krisen, Den italienske venstrefløjs diskussion om krisen og det socialistiche perspektiv» (1976) e «Pdup’s teser for det nye Parti for proletarisk enhed stiftet af Lucio Magri» (1976). I temi della crisi e del dibattito teorico in Italia, insieme a un contributo di Lucio Magri, trovarono pubblicazione nella giovane casa editrice dei Ruc nel volume «Overgang kapitalismen, staten og krisen» (Bruno Amoroso – Lucio Magri, Ruc 1975).
Ma numerose pubblicazioni e studi seguirono anche nel dibattito teorico e nelle università. Questo interesse in Danimarca corrispondeva alla vivacità politica e culturale di quegli anni. Quando cioè esisteva un dibattito vivace e intenso (basti pesare a «Oprør fra midten», ai testi del Kaffe klub di Ritti Bjerregård, ai dibattiti sulla democrazia economica), e quando la socialdemocrazia e i sindacati erano ancora legati a una tradizione socialista e a obiettivi di trasformazione. Erano anche gli anni di una società civile viva e creativa, da Christiania al Centro Universitario di Roskilde.
In quegli anni una delle canzoni più popolari in Danimarca diceva «non ci potete uccidere perché siamo una parte di voi stessi». Oggi dobbiamo constatare che sono riusciti ad uccidere una parte di loro stessi, ma noi siamo riusciti a starne fuori pe continuare a cercare, come ci direbbe Lucio Magri.
(*) Docente emerito alla Roskilde University
Perry Anderson (New Leftreview) – Il pensiero inseparabile dal movimento di massa
Lucio in the sky
Lidia Campagnano – Il segno d’un desiderio e un bisogno di politica
Lidia Campagnano – 30 novembre 2011
Il segno d’un desiderio e un bisogno di politica
Hai scritto un bel libro, caro Magri, mi piacerebbe parlarne con te. Questo avrei voluto dirgli, ma la mancanza di confidenza tra noi mi ha frenato e ora mi dispiace, e penso che la comunicazione mancata segni dolorosamente l’esperienza di «quelli del Manifesto» – o forse dell’intera sinistra un tempo detta alternativa. Come se in quell’ambito, in quella storia, ciascuno la memoria dovesse farsela tra sé e sé.
Oggi, di fronte a questa sua morte così dura, ancor di più mi sembra pesante questo lavoro della memoria non condiviso, e il sospettare che, tra compagne e compagni di un’avventura finita tanto tempo fa, non ci si intenda nemmeno sull’idea stessa di memoria.
Siamo stati maestri di solitudine per caso?Siamo state due generazioni giovani a contatto, quelli come me e loro: Rossanda Parlato Magri Pintor Castellina, giovani. Per noi quei giovani (dopo tutto erano attorno ai quarant’anni) hanno rappresentato la seconda possibilità – dopo il Sessantotto- di avere una vita politica piena: perché a questa mi pare che aspirassimo in molte, e in molti. Ricordare che quella era l’aspirazione significa avvicinarsi al ripagare un debito di gratitudine.
Magri era la costruzione più razionale delle analisi, Rossanda l’indicazione di tutte le vie di fuga dalla medesima, (anche se mai l’ho sentita pronunciare l’abusata parola complessità), Castellina la passione, il piacere e l’indicazione del che fare, Pintor la perenne segnalazione del buio della storia e della flebile luce del sogno rivoluzionario, Parlato una convivialità socratica condita di ironia e di un naturale ammonimento circa il limite di ciascuno di noi.
Il gruppo dirigente del Manifesto per me era questo, anche se comprendeva altri pregevoli personaggi. Tutti insieme hanno creato, per loro stessi ma anche per noi, uno spazio politico molto ricco, indimenticabile. Noi – o alcuni e alcune tra noi – nel frattempo badavamo molto a rendere le nostre vite e noi stessi coerenti con il ragionamento, la passione, la difficoltà, la convivialità, insomma, gli insegnamenti ricevuti. Noi volevamo imparare: imparare a capire, a fare, a essere. Magri sapeva insegnare a capire, indicando che la comprensione del mondo era accessibile, bastava impegnarvisi.
La forza, la tenacia della ragione! Un bel giorno ci ricordò – doveva essere un’occasione importante – che il proletariato era erede della filosofia classica tedesca, concetto che può essere fertilissimo se interpretato all’infinito e diventa sterile se ripetuto per amor di retorica. Il gruppo del Manifesto era una buona cura contro la retorica rivoluzionaria, e forse era questo a renderlo inviso agli altri gruppi della sinistra. Era anche ostilissimo alla didattica politica, che era cosa diversa dalla passione culturale. Fatto sta che una sera sul tardi ricevetti una telefonata di un compagno – un operaio venuto a Milano dalla Puglia. Finita la giornata lavorativa, mi chiedeva di spiegargli, di un articolo di Rossanda sul neonato quotidiano, alcuni passi, per così dire, eredi della filosofia tutta. La giornata politica finiva molto tardi ed era piena e non si era mai soli: ci si aiutava a capire, a fare e ad essere, appunto. In modi inediti: lo scambio più significativo che ricordo, tra me e Magri, risale a un seminario (scuola quadri, di fatto) a Rimini, sulle tesi per il comunismo: aveva ascoltato e commentato una mia lettura del testo in discussione, non si può immaginare la mia gioia, avevo sui venticinque anni.
Ha vinto qualcosa d’altro, certo non noi, non la vita politica piena, non la maturità del comunismo, come dicevamo.Il tempo per capire il perché e riprendere una debitamente diversa vita politica piena non è eterno, forse per quelle e quelli come me è già passato. Ma è anche colpa di Lucio, di Rossana, di Luciana, di Luigi, di Valentino se addosso noi portiamo il segno di un desiderio e di un bisogno di politica, e anche di politica come vita che a tratti ci fa morire e a tratti ci fa vivere di più, come capita a volte nel lutto.
E se un sorriso interiore ci risolleva quando succede che altri ancora, più giovani, ascoltandoci si sentano sostenuti, incoraggiati a pensare e vivere il mondo come solo la politica sa – o sapeva – fare. Vorrei continuare a ricordare alla luce di quel segreto sorriso, nonostante tutto e anche per amore di chi se n’è andato.
Loris Campetti – La passione del confronto
Loris Campetti – 30 novembre 2011
La passione del confronto
Mi ha molto addolorato ma non sorpreso la morte di Lucio. Il giorno della morte della sua dolce Mara mi telefonò per assicurarsi della mia presenza al funerale. «Vieni – mi disse – sarà anche il mio di funerale». Disperatamente ha deciso, in assoluta libertà, della sua vita e la sua morte. Lucidamente, anche, del resto non lo chiamavamo «il lucido»? La sua fine è una metafora della sorte toccata a tanta sinistra, o forse scelta.
Non è il nemico il male che ti uccide ma il peso di un fallimento, il fallimento d’un sogno concretissimo e straordinario. Al contrario è stato per altri, per grandi storie collettive e piccole miserie, non il fallimento del sogno uccide ma l’abiura, la negazione di sé e di ciò in cui si è creduto. Lucio non ha sopportato di vivere in solitudine due lutti: uno politico che avremmo dovuto elaborare insieme e l’altro privatissimo, non socializzabile.
Per il primo siamo tutti colpevoli, anche di non aver avuto la sua ostinazione. Ancora pochi mesi fa Lucio cercava il confronto su un punto che ci aveva divisi: il rapimento di Aldo Moro e la spaccatura tra chi sosteneva la trattativa con i suoi rapitori – il manifesto – e chi invece rivendicava la fermezza dello stato – il Pdup. Ricordo di quei giorni un’assemblea dentro lo stabilimento di Mirafiori, reparto selleria, centinaia di donne in sala e sul palco gli oratori, uno del Pci, uno del Psi, io e un compagno del Pdup.
Io avevo sostenuto la necessità di trattare, il compagno del Pdup la tesi opposta. A un certo punto un’anziana operaia in prima fila smise di fare la maglia, si abbassò gli occhialetti sul naso e ci fulminò: «Scusate, ma voi due non siete dello stesso partito?». Ne riparlai con Lucio, ci scherzai sopra e invece lui, determinato come trentatre anni prima, mi ripetè con impeto tutte le sue ragioni.
È uscito di scena, Lucio, nella forma che ha scelto e che evidentemente gli era più congeniale. Altri, come Federico Caffè, ci hanno lasciato senza tracce e senza messaggi, semplicemente scomparendo. Risparmiamo a Lucio Magri ipocrisie e moraline non richieste e inutili, teniamoci il nostro dolore e una solitudine accresciuta dalla sua uscita di scena.
Luciana Castellina – Il suo peccato più grande, andarsene in quel modo
Luciana Castellina – 30 novembre 2011
Il suo peccato più grande, andarsene in quel modo
Non è facile per me scrivere in morte di Lucio Magri: oltre ad aver condiviso più di mezzo secolo di impegno politico, siamo stati anche compagni di vita, sia pure in un tempo ormai molto remoto. E tuttavia scrivo, cedendo alla richiesta dei compagni del giornale, perché Lucio era ormai fuori dalla vita politica pubblica da moltissimi anni, e in tanti mi domandavano cosa stesse facendo, dove stava.
In un’epoca in cui tutta la politica è immagine, lui aveva perso visibilità: perché aveva rinunciato ad essere rieletto parlamentare già nel ’94, ormai non scriveva più sui giornali, solo raramente raccoglieva l’invito a partecipare a qualche iniziativa. I più giovani, poi, quelli nati quando il Pci stava sciogliendosi e il Pdup aveva già posto fine alla sua storia, forse non l’avevano nemmeno mai sentito nominare, se non dai padri sessantottini. Per questo vorrei raccontare, soprattutto a chi non l’ha conosciuto, o conosciuto male.
Non era disimpegnato, Lucio, neppure ora, tutt’altro. Intanto ci sono gli anni più recenti, quelli in cui fu pubblicata la seconda serie della Rivista del Manifesto, fatta assieme al vecchio gruppo che aveva partecipato alla prima e ad alcuni compagni che allora erano restati nel Pci, fra loro Ingrao e Tortorella. Durò cinque anni, dal 1999 al 2003, e poi, per tante ragioni, cessò. Peccato, perché vi invito a rileggerla, è piena di scritti, di Lucio e di altri compagni, molto interessanti. Fino a qualche tempo fa era leggibile nell’archivio del sito del manifesto, credo ci sia ancora.
Da allora Lucio si è impegnato a scrivere il libro che è uscito due anni fa, ora in edizione economica, già tradotto in Inghilterra da Verso, in Spagna, in Argentina, attualmente in traduzione in Brasile. Un grosso lavoro, non una autobiografia, una ricerca documentata sul comunismo italiano visto nel contesto internazionale, una riflessione attenta, forse la sola che c’è stata, sul più grande partito comunista d’occidente, sulle ragioni del suo successo e su quelle che lo hanno portato a scomparire.
Non manca – e questo di continuare ad interrogarsi sul proprio stesso operato era un pregio di Lucio – anche una riflessione critica su alcune semplificazioni nostre, del gruppo del Manifesto, anche se di questa esperienza non si parla direttamente. Il libro si chiama Il sarto di Ulm, titolo di una parabola di Bertold Brecht: il sarto diceva che l’uomo avrebbe volato, il vescovo principe non ci credeva, alla fine, stufo delle insistenze, gli dice «provaci, vai sul campanile e buttati». Il sarto si butta e si sfracella.
Ma chi aveva ragione? Perchè è vero che allora il sarto non era riuscito a volare, ma poi l’uomo ha volato. La parabola vale per il comunismo: per ora non ce l’ha fatta, ma domani forse ce la farà. Non è pessimista né disfattista il libro di Lucio sul comunismo italiano. C’è anzi la testarda dimostrazione che sebbene fosse necessario un rinnovamento profondo del Pci, c’erano motivi validissimi per andare avanti e, in appendice, il documento che aveva scritto nel 1988 come piattaforma per il XVIII congresso che, anche a leggerlo adesso, dopo più di vent’anni, appare documento strategico attualissimo.
Perché Lucio aveva una grande capacità anticipatrice: con Famiano Crucianelli e Aldo Garzia, negli ultimi tempi, aveva cominciato a raccogliere tanti scritti e documenti della nostra storia, quella di prima del ’68, l’epoca della cosidetta corrente ingraiana, poi del Manifesto e del Pdup, moltissimi redatti da lui stesso. Sono di grande interesse perché molte tematiche che sembrano scoperte da poco sono già esplicitate: dalla questione ecologica, alla crisi della democrazia, al declino della supremazia americana e le sue conseguenze. Le “nuove contraddizioni della nostra epoca” non sono invocate come è rituale, ma finalmente analizzate e spunto per una nuova strategia.
Credo che dovremmo raccoglierli e farli circolare questi scritti, magari cogliendo così l’occasione di ricordarlo perchè ora ci manca anche se ci ha lasciato detto che non voleva cerimonie funerarie.
Andando in giro per l’Italia trovo tanti, davvero tante compagne e compagni, che mi dicono che la stagione politica vissuta assieme è stata decisiva nella loro formazione. Anche la storia del Pdup, nato come proseguimento di quello che si era chiamato “Movimento Organizzato del Manifesto” quando ci unificammo con il gruppo ex psiuppino di Vittorio Foa, penso dovrebbe esser rivisitata e fatta conoscere. Questo partito l’ avevamo sempre pensato transitorio, perché ci premeva ricomporre le fila del comunismo italiano e non cristallizzare un partitino, una scelta difficile e che molti gruppi della nuova sinistra non capirono e ne fecero anzi motivo di irrisione.
Nell’84 avviammo la discussione per decidere se rientrare
o meno nel Pci: si era in pieno regime craxiano e un nuovo anticomunismo conquistava terreno, restare divisi non aveva senso, anche perché c’era stata quella che fu chiamata la “seconda svolta di Salerno”, quando Berlinguer aveva posto fine all’unità nazionale, denunciato la deriva della politica, e rotto definitivamente con l’Unione sovietica. Fu proprio Berlinguer che, senza preavviso, venne ad ascoltare la relazione di Lucio al nostro congresso del 1984, e poi ci chiese di rientrare, visto che i dissensi che ci avevano diviso erano ormai largamente superati. Forse avvertiva che c’era bisogno, nel Pci, dell’energia dei nostri quadri, per combatterne le derive normalizzatrici.
Ma pochi mesi dopo morì e ci ritrovammo in un Pci che era oramai altra cosa, peggiore di quello che ci aveva cacciati. E così fu Lucio a trovarsi in realtà alla testa della contestazione – non conservatrice ma rinnovatrice – allo scioglimento del partito. Il rapporto che tenne ad Arco, dove si svolse l’ultima assemblea della mozione del no alla svolta per il XXI congresso del Pci, quello del gennaio ’91, è – anche questo – un lucido e moderno programma per la sinistra. Anch’esso andrebbe riletto.
Lucio non aveva un carattere facile. Il suo più grande amico, Michelangelo Notarianni, diceva di lui che aveva grandissime qualità, ma gli mancavano i sentimenti intermedi. Era assolutamente vero: intellettualmente generosissimo – una quantità di testi non firmati sono in realtà suoi, ma non gliene importava niente che gli venissero attribuiti, gli interessava che quelle idee circolassero – sembrava sgarbato o arrogante; pronto a riflettere sui suoi errori, non perdonava quelli degli altri, perché era oltremodo, fastidiosamente integralista.
Ma il suo peccato maggiore è stato di andarsene così come se ne è andato. Riteneva di non poter più dare niente per una rinascita della sinistra di cui diceva «ci sarà, ma ci vorranno decenni e io comunque non sono più in grado di dare alcun conributo». Sbagliava, naturalmente, perché avrebbe potuto ancora aiutarci. Ma la depressione che lo aveva colto dopo aver seguito giorno per giorno, per tre anni, la terribile agonia di Mara, la compagna con cui ha trascorso gli ultimi 25 anni e che amava moltissimo, l’ha spezzato.
Non aveva più motivi che lo trattenessero e noi amici e compagni non siamo riusciti a dargliene di sufficienti.
Giuseppe Chiarante – A Bergamo negli anni cinquanta
Giuseppe Chiarante – 30 novembre 2011
A Bergamo, negli anni ’50
E’ con profonda commozione che in un momento come questo ricordo gli anni così lontani in cui conobbi Lucio, strinsi con lui un’amicizia che sarebbe durata tutta la vita, avviammo insieme una comune ricerca culturale e politica che ci portò dall’iniziale esperienza nella sinistra democristiana di orientamento dossettiano all’impegno nel Partito comunista e più in generale nella sinistra italiana.
Ho conosciuto Lucio quando ancora eravamo ragazzi, a Bergamo, dove frequentavamo il liceo classico Paolo Sarpi, sia pure in classi diverse essendo Lucio più giovane di me di tre anni. Fu dunque in una città a larghissima prevalenza cattolica come Bergamo che compimmo i primi passi del nostro comune impegno politico, entrando nei Gruppi giovanili della Dc che erano allora fortemente influenzati da personalità della sinistra cattolica come Dossetti, Lazzati, La Pira.
Ma così io come Lucio avvertimmo ben presto la sollecitazione, che si manifestò con forza crescente nell’Italia degli anni cinquanta, a mettere in discussione il prevalente indirizzo conservatore dei governi dell’epoca e a dare una più coerente attuazione alla Costituzione repubblicana attraverso il recupero di un’intesa tra i partiti che avevano dato vita alla Resistenza e all’Assemblea costituente. In questo orientamento, di grande stimolo fu il rapporto che – soprattutto dopo il nostro trasferimento a Roma come dirigenti giovanili democristiani – stabilimmo con Franco Rodano e il gruppo che già prima del ’45 aveva dato vita al movimento dei cosiddetti «cattolici comunisti». E d’intesa con Rodano e i suoi collaboratori e con Melloni e Bartezzaghi deputati espulsi dalla Dc per avere votato contro il riarmo e contro l’Alleanza atlantica, promuovemmo il settimanale Il dibattito politico, impegnato su una linea di aperta ripresa del dialogo e della collaborazione con i partiti della sinistra.
Inevitabile, su queste basi, fu lo scontro con la segreteria democristiana, che aveva alla testa Fanfani ed era nettamente contraria all’apertura a sinistra. Io, che nel ’54 ero stato eletto al congresso di Napoli membro del consiglio nazionale della Dc pur non avendo ancora 25 anni, fui espulso dalla Democrazia cristiana; Magri lasciò a sua volta quel partito e sviluppando sempre più sul dibattito politico il tema di una linea di rinnovamento civile ed economico del paese, decidemmo nel 1958 di entrare nel Partito comunista, impegnandoci sin dall’inizio nel dibattito che già era aperto sull’esperienza di centro-sinistra, collocandoci su una linea più vicina a quella di Pietro Ingrao che alla destra capeggiata da Giorgio Amendola.
Cominciava così per noi una nuova esperienza politica, che ci avrebbe portato anche a posizioni diversificate, restando però sempre vivo il legame di solidarietà e di amicizia.
Massimo D’Alema – Le sue battaglie, un messaggio ai giovani
Massimo D’Alema – 1 dicembre 2011
Le sue battaglie, un messaggio ai giovani
Signor Presidente, colleghi deputati.
Ho chiesto la parola per esprimere il cordoglio dei parlamentari del Partito Democratico per la morte tragica e disperata di Lucio Magri, militante e dirigente della sinistra, uomo intelligente, colto e appassionato. Sono personalmente colpito e addolorato per ciò che è avvenuto.
Non è il momento di ripercorrere qui l’itinerario tormentato della sua vita, da giovane dirigente della Democrazia cristiana, alla scelta di militare nel Partito comunista, all’esperienza del Manifesto, che fu per lui fondamentale sul piano umano e intellettuale. E, ancora, dalla fondazione del Pdup, al ritorno nel Partito comunista, fino alla battaglia contro la «svolta» e alla difesa dell’esperienza del comunismo italiano.
Ebbi modo di incontrare Lucio Magri per la prima volta nel 1969, quando, insieme a Fabio Mussi e ad altri studenti pisani, raccoglievamo gli abbonamenti al Manifesto. L’ultima volta – e quindi nell’arco di oltre un quarantennio – l’ho incontrato qualche giorno fa qui, nel Transatlantico di Montecitorio. Abbiamo passato una lunga vita vicini, per la comune appartenenza e, nello stesso tempo, quasi sempre lontani nelle scelte politiche che a ogni crocevia della nostra storia ci hanno visto su opposte sponde.
Da quel lontano 1969, quando noi rifiutammo di spingere il dissenso fino alla scelta di farsi cacciare dal Partito comunista, nella convinzione che non vi fosse prospettiva al di fuori della grande forza storica del movimento operaio. E sino alle discussioni dopo l’89, negli anni sofferti della «svolta» e della diaspora. Lucio non è mai stato un dogmatico, ha difeso il patrimonio del comunismo italiano, pur essendone stato uno dei critici più acuti e più anticipatori.
E non fu neppure un eretico, nel senso della testimonianza solitaria, dell’estremismo. Non amava la politica predicata, anzi, si sforzò sempre di praticarla. In questo, davvero, proponendosi come un continuatore nel solco della migliore tradizione togliattiana, quella che ha saputo combinare il mito rivoluzionario con il realismo politico, con il gusto per la strategia, il calcolo dei rapporti di forza, la capacità di intravedere i possibili passi in avanti.
Così fu quando non si contrappose al compromesso storico nel nome di un moralistico rifiuto della politica, ma nel nome di un’acuta idea del compromesso per l’alternativa. E così fu quando, nel ’95, non accettò il rifiuto di Rifondazione comunista al governo Dini, in cui vide, pure nella differenza profonda, un possibile passo in avanti. È forse questo gusto per la politica che lo ha reso per me, per molti di noi, un interlocutore importante, intelligente, con cui discutere, approfondire, ricercare le soluzioni, mettere a confronto le analisi e le proposte.
Lucio ci ha lasciato con «Il Sarto di Ulm»: una riflessione critica e insieme un atto di amore verso la nostra storia. Quel libro contiene la consapevolezza di una sconfitta, perché il sarto di Bertolt Brecht fallisce nell’ambizione folle di volare e si schianta al suolo. Ma egli riteneva che quella testimonianza disperata avesse comunque lasciato un segno, perché è pur vero che poi l’uomo è riuscito a volare.
Lucio portava il peso della sconfitta e non aveva tollerato la morte dolorosa della sua compagna Mara. C’era in lui una lucida disperazione. E resta nei suoi amici e nei suoi compagni il rimpianto di non avere forse compreso fino in fondo e di non essere riusciti ad aiutarlo a restituire un senso alla sua esistenza.
Ecco, non vorrei che l’emozione per le circostanze della sua morte finisca per cancellare la memoria della sua vita, il suo impegno politico e intellettuale, la testimonianza che egli ci ha lasciato delle sue ricerche, delle sue battaglie, dei suoi scritti.
Anche noi, insieme ai suoi compagni, siamo pronti a ricordarlo, a raccogliere le sue opere, a discuterle e a tramandarne il senso ai giovani che vogliono impegnarsi nella politica di oggi.
Gianni Ferrara – Intelligenza politica e gentilezza
Gianni Ferrara – 30 novembre 2011
Intelligenza politica e gentilezza
Mi ha telefonato, lunedì, un po’ dopo le 10. Mi ha detto che voleva salutarmi e mi abbracciava. Era la sua voce di sempre, solo un poco più ferma. A quel che ho provato ancora a ripetergli, ha risposto che mi abbracciava. Ho avvertito un silenzio durato alcuni secondi. Li ha interrotti un clic, agghiacciante.
Ho conosciuto tardi Lucio Magri. Trenta anni fa, ai tempi di Pace e Guerra. Lucio mi chiamava Giacinto, alludendo alla mia provenienza (il Psi di Nenni, Basso, De Martino, Lombardi) e collocandomi idealmente tra i massimalisti di Serrati, passati al Pcd’I nel 1924. Si discuteva molto nella redazione di quel settimanale e molto bene. Mi impressionò l’attenzione di Lucio per ogni intervento ma anche la giustezza della scelta che suggeriva sul tema e sul tono del numero da redigere. Soprattutto le argomentazioni che usava nel motivare e il grande rispetto delle opinioni che non condivideva.
Ho capito dopo che si trattava di un tratto tipico della sua personalità. L’acutezza della sua intelligenza politica, la solidità della sua cultura, mai ostentata, si accompagnavano alla gentilezza d’animo. Teneva moltissimo al giudizio degli altri, alla solidarietà che per lui non era solo un rapporto emotivo, ma intellettuale, culturale. Nel dirigere la Rivista del Manifesto, la cercava ancora.
È che Lucio amava i suoi simili. Gli ho sentito tante volte deprecare che della triade della Rivoluzione borghese si era perduta la memoria del terzo ideale: la fraternità. Tante volte ha lamentato che la sconfitta della Rivoluzione proletaria rinviava chissà per quanto tempo la nascita dell’uomo nuovo, l’opposto di quello di Hobbes.
Per me Lucio è il compagno che mai ha smesso di credere a quegli ideali che ci resero rivoluzionari.
Aldo Garzia – Agire nella realtà senza subirla
Aldo Garzia – 1 dicembre 2011
Agire nella realtà senza subirla
Tra le fisse di Lucio c’era quella di pensare che le autobiografie non interessano a nessuno (proprio il contrario dell’opinione di Saverio Tutino, un altro mio «maestro» che se ne è andato lo stesso giorno di Magri). Per questo, nel suo Il sarto di Ulm aveva lasciato pochi cenni autobiografici: un’estate particolarmente gioiosa passata con Luigi Pintor in Sardegna, il dubbio che avesse ragione Aldo Natoli nel predicare di non avventurarsi nella costruzione di un partito dopo la radiazione dal Pci, qualche cenno al sodalizio con Pietro Ingrao accompagnato però dall’elenco impietoso di tutti gli appuntamenti politici mancati dallo stesso Ingrao, pochi ricordi sui primi anni Sessanta passati a Botteghe Oscure e sul ritorno nel Pci pochi mesi prima della morte di Enrico Berlinguer.
Questa ritrosia ai ricordi e agli affetti faceva parte della scorza dura di Lucio, per il quale doveva essere sempre la politica – anche nella memoria – ad avere il primato sui personalismi. Quello che lo faceva più soffrire (politicamente parlando) negli ultimi anni era l’annotazione secondo cui per «magrismo», nella vicenda del gruppo del Manifesto, si dovesse intendere una certa predilezione per la manovra politica a breve, gli schieramenti, le alleanze e qualche obiettivo immediato: il sacrificare cioè all’opportunismo di fase la ricerca e l’azione di una strategia.
Questa nomea lo mandava in bestia (sarebbe stato contento nel leggere che negli articoli a lui dedicati da Norma Rangeri e da altri si riconosce il ruolo di «stratega» o «cervello» del nostro gruppo). Lucio riteneva infatti di non aver mai fatto una scelta per opportunità politica e di essere stato invece per tutta la vita perseguitato dall’assoluta coerenza tra analisi e azione. Da qui anche la convinzione che dopo la radiazione dal Pci nel 1969 – le «Tesi del Manifesto» del ’70 che portano la sua impronta sono da questo punto di vista esemplari – bisognasse tenere insieme l’idea dell’autonomia di una organizzazione con quella di agire e influire sul maggior partito della sinistra.
La pura ricerca teorica o anche un semplice giornale senza bussola non lo interessavano granché: bisognava sempre cercare di intervenire sulla realtà senza adagiarvisi, cogliendo le opportunità di una azione senza perdere la coerenza. Ecco, forse, perché negli anni Settanta il «magrismo» è apparso di «destra» quando i gruppi della nuova sinistra non si preoccupavano della mediazione politica e negli anni ottanta è sembrato poi troppo indulgente nella manovra politica, fino a motivare il rientro nel Pci sull’onda della «svolta» di Berlinguer e della politica di Yuri Andropov a Mosca che Lucio considerava la vera occasione sprecata prima dell’arrivo di Mikhail Gorbaciov (Berlinguer e Andropov sono morti nello stesso anno, proprio nel mezzo di un nuovo inizio politico abbiamo più volte commentato insieme).
Lettore onnivoro (negli ultimi mesi si è riletto tutto Lev Tolstoj), scrittore instancabile di saggi, articoli (qualche volta donati ad altri), documenti congressuali o relazioni a convegni e a congressi – insegnando a noi più giovani che bisogna sempre prepararsi al meglio quando si scrive o si parla in pubblico – a Lucio non andava proprio giù di essere dipinto negli anni della direzione del Pdup e poi del ritorno nel Pci come una sorta di politico-politicante. Le sue idee potevano risultare datate ma non dovevano esserci dubbi sul fatto che la coerenza intellettuale fosse assoluta nella ricerca di un rinnovamento comunista senza abiure.
Per fatalità della sorte, Il sarto di Ulm è un testo in cui tocca a Magri, comunista modo eretico, rifare la storia del comunismo e difendere memoria e originalità dei comunisti italiani più di quanto abbiano fatto altri, pur avendo passato una vita senza scosse nel Pci. Questa visione della politica di Magri aveva però un limite: non tutto è riducile al pensiero e all’azione, non può sempre prevalere il totus politicus. Poi ci sono le individualità con il loro temperamento e le proprie contraddizioni esistenziali.
E poi bisogna saper guardare il mondo coltivando pure altri interessi oltre alla politica: la musica, il cinema, la letteratura, la pittura, le nuove tecnologie informatiche, la psicanalisi Per farlo arrabbiare bastava dirgli: «Tu, a differenza di Ingrao, non diresti mai: voglio sedermi a un bar per vedere la gente che passa e poter chiedere a ognuno che storia ha e dove pensa di andare». E aggiungere, quando controbatteva ricordando l’esito del convegno di Arco del ’91 come l’ultimo errore di Ingrao e il più rilevante, fatto da se stesso per non aver contestato l’idea del «gorgo» in cui restare, che comunque bisognava essere indulgenti con Ingrao a scapito dell’efficacia di ingraismo e ingraiani.
Contravvenendo alle raccomandazioni di Lucio sui personalismi da evitare, come faccio infine a non ricordare il settembre 1969 quando suonai al campanello di piazza del Grillo 10 per aderire al Manifesto e fu lui ad aprirmi? Come evitare di ripensare agli anni in cui ero il suo assistente parlamentare (1976-1979) e ho iniziato per scherzo a imitarne la voce? E poi a quelli passati nel Centro studi voluto da lui e Claudio Napoleoni che produsse la rivista «Pace e guerra»? E come non ricordare il viaggio fatto a Cuba con Lucio e Mara? E i lunedì degli ultimi due anni passati a registrare su nastro con lui e Famiano Crucianelli considerazioni sulla storia del Manifesto, del Pdup e della sinistra italiana? E i viaggi recenti insieme a Barcellona e Madrid per presentare l’edizione spagnola del Sarto di Ulm? È stato pure il primo lettore critico dei miei libri su Olof Palme e Ingmar Bergman rimproverandomi un’eccessiva compiacenza senile per la Svezia e la storia della socialdemocrazia europea.
È stato perfino l’amico generoso che mi ha aiutato in un momento di difficoltà economica. Gli episodi che tornano alla mente sono innumerevoli. L’ultimo è di giovedì scorso 24 novembre: una stretta di mano nel suo salotto, la considerazione di aver vissuto insieme una perigliosa avventura politica, intellettuale, umana durata quattro decenni. Poi sono andato via trattenendo le lacrime – in ottemperanza allo stile del «magrismo» – dopo aver chiuso la porta alle spalle.
Caro Lucio, mi sforzerò di restare un inguaribile «magriano».
Alfonso Gianni – Un’avventura intellettuale
Alfonso Gianni – 30 novembre 2011
Un’avventura intellettuale
Lucio Magri se ne è andato. Una delle intelligenze più vivaci e creative che io abbia mai incontrato non è più con noi.
Lucio ha lasciato scritto che non vuole commemorazioni, specie se ufficiali. Ne conosco la ragione. Tempo addietro, ma non molto, a conclusione della cerimonia funebre per la scomparsa di un famoso e autorevole compagno, Lucio commentò con alcuni di noi che sentire certi discorsi è come assistere a una doppia sepoltura. Oltre quella fisica, anche quella intellettuale. Nessuno, egli diceva, ha il coraggio di raccontare la vita di chi se ne è andato, di dire veramente che cosa ha rappresentato, quali sono state le sue caratteristiche, quale il suo apporto specifico, quali i suoi punti deboli. Così di ognuno si ha una immagine sfocata, menzognera, che non rende merito né alla storia dell’individuo né a quella della comunità cui ha appartenuto.
Nella melassa tutto è insapore. La tua vita, Lucio, no. Non è stata così. Ha avuto il sapore invidiabile di una spericolata avventura intellettuale.Hai attraversato il tuo secolo con la consapevolezza di vivere la storia come presente. Ti sei sempre sforzato di guardare oltre e comprendere ciò che ti aveva preceduto. Il tuo ultimo libro, che ti ha trattenuto in vita un poco di più e ora ci parla con le diverse lingue nelle quali è stato tradotto, «Il sarto di Ulm» insomma, ce la racconta quella storia.
So quale era il tuo intento. Ce lo hai ripetuto diverse volte, un po’ perché non ti fidavi che ci arrivassimo da soli, un po’ per studiare le nostre reazioni. Volevi dimostrare che la storia del comunismo italiano – e non solo – non era stata quella che gli stereotipi postottantanoveschi avrebbero preferito consegnarci.
Non era fatta solo di errori e orrori. Volevi preservare quel filo rosso che si annodava attorno ad un nocciolo fatto di ragione, di analisi, di critica dell’esistente, di fiducia in un’alternativa possibile oltre che necessaria. Vedevi i nuovi movimenti nascere e infrangersi contro la dura scorza di un capitalismo che sa rinnovarsi, ora frantumando le intelligenze che gli si ergono contro, ora curvandole verso di sé. Sapevi perfettamente che senza un pensiero forte, senza il recupero e l’innovazione di un progetto generale, senza la spinta e il rovello di un’idea altra e alta di vita e di società, la nuova battaglia contro il nuovo capitalismo sarebbe stata nuovamente perduta.
Non sopportavi perciò che nella sinistra che pur con generosità voleva mantenersi e innovarsi come tale, la retorica facesse agio sulla persuasione. Per te così minuzioso nell’analisi, determinato nella costruzione politica, ironico e realista, quel certo conformismo dell’alternativa risultava insopportabile. E perciò non perdevi occasione, con tenacia e lucidità, con chi ti capitava a tiro, a condizione che meritasse la tua attenzione, di riaprire la discussione sul cosa e sul come fare. Fosse stato solo per questo, non ci avresti abbandonato anzitempo.
Chi attribuisce la tua scelta al senso di sconfitta, non ti ha conosciuto ed ha perso l’occasione di farlo anche in questa suprema occasione. No La tua dipartita è un atto d’amore, non di rassegnazione. Non è sempre così. A volte il tempo rende le persone impermeabili. Nel caso tuo è successo il contrario. È come se il tempo ti avesse reso più accogliente, avesse scavato in te aumentando la capacità d’accogliere sentimenti, affetti, emozioni, amore. Credo che questa sia stata la tua vita con Mara. Per questo hai concluso non ci fosse modo di sopravviverle, malgrado gli sforzi delle compagne, dei compagni e degli amici di una vita, se non per ultimare ciò che anche a lei, soprattutto a lei, avevi promesso. Così facendo hai restituito a noi che viviamo nella e di politica, la nostra dimensione perduta di persone.
Hai voluto morire da vivo. E anche questo lo hai fatto nel modo migliore, non lasciando nulla al caso o al furore. Quindi continuerai a vivere con noi, nei nostri cuori e nelle nostre menti.
Stefano Guarguaglini. Una canzone per Lucio
Stefano Guarguaglini, un vecchio compagno musicista, grande amico di Lucio, ci ha mandato una canzone che ha voluto dedicare a lui, e un breve messaggio:
“Ai compagni e agli amici di Lucio,
abbiamo scritto questa canzone per ricordare il suo ultimo viaggio.
Il nostro gruppo si chiama I Nuovi Cantori di Sala Consilina.
Un saluto a tutti, Stefano”
In ricordo di Lucio Magri
Pietro Ingrao – Quella notte insieme prima dell’XI Congresso
Pietro Ingrao – 30 novembre 2011
Quella notte insieme prima dell’XI Congresso
Scrivo sgomento, pensando al modo in cui Lucio ha voluto lasciare la vita. Penso a quella ferita così dolorosa, che anch’io ho subito otto anni fa, della perdita della propria compagna. Penso al senso tragico di sconfitta che ha dominato i suoi ultimi anni.
Sono pensieri, non spiegazioni: un gesto come il suo rimarrà sempre insondabile, chiede rispetto e silenzio. Sarebbe però profondamente ingiusto dare addio a Lucio Magri solo con il silenzio. Bisogna dire, ricordare, trasmettere il ricordo ai più giovani e continuare ad ascoltare la sua voce e i suoi pensieri, che ancora hanno tanto da dirci.
Con lui ho condiviso un percorso lungo, appassionante, intenso: non avrebbe senso, tentare di ripercorrerlo in poche righe. Mi limiterò solo a brevi immagini.
Erano gli anni ’60, Lucio era stato licenziato da Botteghe Oscure, era momentaneamente senza lavoro. Veniva a pranzo a casa nostra, quasi tutti i giorni. Mia moglie si interrogava, molto prosaicamente: forse non ha i soldi per mangiare. Era solo una battuta: in quei pranzi e in quelle ore passate insieme, si consolidava fra me e Lucio una comune visione del mondo, una tensione al cambiamento che vedeva nel partito il suo soggetto centrale, ma che delle regole del partito sentiva ormai troppo rigidi i vincoli e le liturgie.
Ricordo nitidamente la nottata passata con Lucio nella mia casa di via Balzani a preparare l’intervento che avrei pronunciato all’XI Congresso del Pci, pesando con cura ogni parola: era la prima volta che nel partito veniva rivendicato il diritto al dissenso. Terminammo di lavorare alle due di notte, ed io ero convinto che all’angolo di strada di casa mia ci fosse un compagno della cosiddetta “vigilanza” del partito, a controllare chi a quell’ora veniva da me. Non era vero, naturalmente; ma a questo ci portava, sentire addosso la condanna ossessiva del cosiddetto “frazionismo”, che nel Pci demonizzava ogni sodalizio, ogni condivisione di pensiero, ogni vero dibattito interno.
Fu quella condanna a portare alla drammatica espulsione dal partito lui e gli altri compagni del Manifesto: è per me ancora una ferita, ricordare che allora non ebbi il coraggio di oppormi. Prevalse in me un’errata concezione dell’unità del partito. Un errore che ancora mi brucia dentro, anche se poi, nei lunghi anni seguiti a quella rottura, fra me e Lucio, e con tutti i compagni del Manifesto si ricostruì nuovamente uno scambio intenso e fattivo, che prese ancora più slancio dopo la svolta dell’89 e la fine del Pci.
Oggi Lucio ci ha lasciati, in giorni bui dominati da gelide dispute sulla Borsa e i bilanci. Un altro ricordo: era il maggio del 1962, in un convegno dell’Istituto Gramsci sulle tendenze del capitalismo. Si discusse animatamente, la nostra critica alla relazione di Amendola fu uno dei primi segni visibili della nostra ricerca di un nuovo sguardo sul mondo. In quell’occasione, Lucio parlò del bisogno di una critica a quella che lui chiamò “la società opulenta”: la pervasività del mito dell’opulenza in ogni luogo della vita, a colpire l’autonomia dei bisogni umani.
In questo presente così aspro e difficile, in cui la politica sembra aver ceduto le armi di fronte ai luoghi della finanza, ho risentito l’eco di quelle parole: non più solo nei miei ricordi, ma negli slogan di chi si accampa davanti a Wall Street.
Caro Lucio, carissimo compagno di tante lotte e di tante sconfitte: nessuna sconfitta è definitiva, finché gli echi delle nostre passioni riescono a rinascere in forme nuove, perfino di fronte al tempio del capitalismo mondiale.
Alfonso M. Iacono – Se la vita non è più vita. L’ultima scelta di Magri
Alfonso M. Iacono – 30 novembre 2011
Se la vita non è più vita. L’ultima scelta di Magri
E’ difficile spiegare cosa sia stato Lucio Magri per molti di noi, intendo quelli della generazione del ’68 che andarono a fare il Manifesto un po’ dappertutto in Italia, con qualche stupore degli stessi protagonisti di quella storia. Ci accorgemmo piano piano che era lui la mente strategica, capace di coniugare, più di altri, senso politico con visione ideale. Non starò a ricordare le alterne vicende del quotidiano e del movimento politico, né i vincoli molto complessi che hanno legato Lucio con Castellina, Rossanda, Pintor, Parlato, voglio però rimarcare quanto sia stato importante un uomo che nascondeva con pudore un senso laico ed etico della vita dietro il primato della politica.
In fondo ciò rappresentava l’invisibile del gruppo del Manifesto, ma Lucio sicuramente ne fu l’espressione più ironica. Allora forse non ce ne rendevamo molto conto, anche perché oscillavamo facilmente e giovanilmente tra moralismo e politicismo, ma oggi è diverso. Oggi non oscilliamo più, subiamo e basta la fine di una morale che resta nelle trame dell’agire politico, mentre ci ostiniamo a riempire carta e file di codici, leggi, indirizzi, auspici che tradiscono un vuoto, quello della politica come pensare e agire critico.
Lucio non aveva bisogno di teorizzare un’etica, l’avrebbe forse ritenuto retorico o addirittura ipocrita; la considerava intrinseca a una politica che sa guardare lontano, verso un futuro diverso che comincia con il mutamento del presente.
«Per il comunismo» era il titolo delle tesi del Manifesto. Non starò qui e ora a discutere sull’attualità o meno di ciò che vi era scritto. Lo si vedrà nel tempo. Desidero qui sottolineare un altro aspetto apparentemente laterale, ma solo apparentemente. Dietro quella visione c’era qualcosa che oggi abbiamo perso: un intreccio tra il conoscere e il fare, o almeno un desiderio di concepire un tale rapporto come riempimento della vita che non poteva essere tale se non collettiva, solidale, egualitaria.
Nel suo libro Il sarto di Ulm, dedicato a Mara, egli scrive: «Per una persona ormai anziana l’isolamento è dignitoso, ma per un comunista è il peccato più grave, di cui rendere conto. L’ ultimo dei mohicani può essere un mito, il comunista solo, e arrabbiato, rischia il ridicolo se non si tira da parte».
Una rabbia accompagnata dall’orgoglio e dalla dignità è ciò che vedo nella scelta finale di Lucio. Una scelta di autonomia fino in fondo. Nella Cabala di Isacco Lurjia vi è un dio che si ritrae per lasciare spazio al mondo degli uomini. Il ritrarsi è un atto di amore che tuttavia ha come corrispettivo il grande fardello che sarà portato dagli uomini: la responsabilità e l’autonomia dell’agire. La libertà ha in questo fardello un peso esistenziale che oggi è offuscato dalle polveri dell’autoinganno e del delirio di onnipotenza.
Lucio ha voluto portare fino in fondo questo fardello, fino alla libertà di chiudere la vita deliberatamente. Ne sono addolorato, ma ammiro il suo orgoglio rabbioso e la sua dignità. E se guardo lo spettacolo che abbiamo oggi davanti agli occhi di questa sedicente democrazia mercificata e violenta, mi domando se la vera sconfitta non fu nelle idee, ma nel nostro modo di essere privato. Una decisione meditata e sofferta che lo ha portato ad attraversare un confine fisico e psicologico. Il contrario della passiva rassegnazione.
Michele Mezza -Lucio Magri l’uomo che faceva volare i sarti
Michele Mezza -29 novembre 2011 (da Facebook)
Lucio Magri, l’uomo che faceva volare i sarti
Mi serve come non mai Facebook. Devo sfogare un dolore che mi spegne ogni voglia di pensare e forse solo condividendolo posso riuscirci.
Sto piangendo come un vitello da quando, questa mattina ho ricevuto la notizia della morte di Lucio Magri. Piango più scompostamente di quanto mi sia capitato per la morte di mio padre. Non so se è un buon segno. Ma è così.
Lucio Magri mi ha insegnato a leggere ed a scrivere, spingendomi ogni mattina, per 42 anni, con intensità diverse, ma con regolartità implacabile, tanto che imbattendomi in un evento non riesco a non a chiedermi: e Lucio cosa ne penserà?
Non era fideismo: chi è stato coinvolto nell’esperienza del Manifesto sa bene che molti furono i difetti. ma mai ci fu subalternetà al leader. Anzi, tutt’altro. Ma Lucio aveva il magnetismo e l’armonia della lucidità, sempre, perfino troppo. E oggi possiamo dire che è morto di lucidità.
Lo incontrai la prima volta in una notte dell’autunno del 1970, nello stanzone di corso S Gottardo a Milano, dove si riuniva la conventicola ambrosiana del Manifesto: poche decine di individui, per lo più insegnati, che sembravano nella Milano delle adunate oceaniche del movimento studentesco, o di Avanguiardia Operaia, o di Lotta Continua, un gruppo di illuminati erranti.
Era il mio primo attivo quadri , avevo 17 anni, ero il primo stiudente medio del Manifesto milanese. Seduto in fondo assistetti ad un’assemblea infuocata, dove un gruppetto di lavoratori dell’Innocenti, operai e impiegati, vennero allontanati dall’organizzazione con motivazioni diverse, alcune, rivelatesi poi non infondate, anche attinenti a poco chiari comportamenti dei componenti del gruppo.
Magri alla fine fece un intervento che ricordo ancora, parola per parola, spiegando perché un comunista non doveva mai essere subalterno all’astrazione sociale, ed avere il mito dell’operaio che aveva sempre ragione. Una lezione che conservo e che mi fu indispensabile per stare quasi sempre dalla parte giusta.
Da quel momento ho ritrovato nelle sue quotidiane incursioni nel quotidiano del Manifesto, o nei suoi saggi e nelle sue relazioni, spunti che hanno costituito i punti cardinali della mia educazione intellettuale: il maggio francese, Praga, il Vietnam, i metalmeccanici, il ruolo dello studente, e poi la figura di Togliatti, il rapporto con il PCI, l’autonomia dall’estremismo, la determinazione nella questione sociale, il ruolo del riformismo, l’illusione cinese, il rapporto con i cattolici.
Temi scanditi dal suo modo di essere lucidamente coerente ma mai rigidamente fideista: del resto un eretico di professione non può nemmeno immaginare cosa sia la dottrina.
Negli ultimi anni ritrovai un Magri sconsolato, deluso, bruciato, dopo la morta della sua carissima Mara. Egli era, sopratutto, lucidamente conscio della sconfitta. Capiva che il suo Sarto Ulm, il titolo del suo ultimo densissimo libro, non avrebbe mai volato e non accettava l’impotenza.
Quando gli portai il mio ultimo libro mi sorrise dicendomi: che fai tradisci anche tu con queste macchinette? E mentre mi incaponivo a sostenere la lotta di classe digitale, lui mi incalzava: ma la povera gente conta di più o di meno? Per me conta di più oggi, ma lui voleva sapere in realtà se i lor signori continuavano a contare, perchè quello era il segno che un rivoluzionario aveva vissuto utilmente. E su quello non ho parole.
La risposta di Lucio allo strapotere dei lor signori è stata l’autonomia nel decidere la propria morte, negando ruolo potere a chiunque fosse parte del sistema, di qua e di là della linea d’ombra.
Le mi lacrime mi dicono forse che la sua morte rende non più esorcizzabile la chiusura di quella parentesi: siamo tutti accanto ad una linea d’ombra che ci trova tutti vecchi e sconfitti ma pochi con la sua forza e determinazione.
Che fare per trovare un’altra strada per essere lucidi e coerenti?
Valentino Parlato – Continuons le combat
Valentino Parlato – 30 novembre 2011
Continuons le combat
Lucio Magri da molto tempo ci aveva comunicato la sua decisione di togliersi la vita. Avevamo discusso e cercato di dissuaderlo perché avevamo bisogno di lui, della sua intelligenza e del suo impegno. Non ci siamo riusciti. È stata una decisione di estrema razionalità. A quasi 80 anni, la perdita della compagna Mara era stata tremenda. La vita non era più vita. Anche la situazione generale non incoraggiava. Con razionalità addirittura estremistica Lucio prese la decisione (e quando decideva non cambiava idea) e attuò quel che aveva stabilito.
Il suicidio è una fondamentale libertà della persona. Chi è padrone della propria vita, come ogni umano lo è, può legittimamente e moralmente decidere di mettere la parola fine.
Lucio è stato anima e mente della nostra vita. Insieme abbiamo cominciato con la rivista e poi con il quotidiano. Ci fu una breve separazione ai tempi del Pdup, ma i legami sono rimasti forti, anche quando c’era polemica.
L’interrogativo è: che cosa ci lascia, a che cosa ci incita Lucio con il suo suicidio. Provo a rispondere.
Innanzitutto a criticare e combattere la società presente. La sua cultura, la sua politica e gli scritti ci danno stimoli e conoscenza. Il sarto di Ulm, che tentò anzitempo di volare si sfracellò, ma poi gli uomini cominciarono a volare. Questo il messaggio e il suo suicidio, ancorché dovuto ai sentimenti, è un atto di rifiuto, di combattimento. Tutto il contrario della passiva rassegnazione.
Questo nostro giornale, «quotidiano comunista», è oggi nella più grave delle sue tante crisi e dal gesto e dall’opera di Lucio trae motivazioni e forza nel rifiutare lo stato presente delle cose. Le analisi di Lucio, la lettura della storia sono alimento essenziale e per questo ci impegniamo a pubblicarne gli scritti inediti, tanti e importanti. Utilizzeremo meglio che nel recente passato gli insegnamenti, per rinnovarci e combattere più efficacemente. Per affrontare l’attuale, e storica, crisi della sinistra, per ridare alle donne e agli uomini la speranza di un cambiamento, di una uscita dall’attuale stato di mortificazione degli esseri umani.
Il suicidio di Lucio non è stato un fatto personale, di chiusura in se stesso. Lucio ne aveva ripetutamente parlato con noi e anche alla fine del percorso è stato accompagnato da Rossana Rossanda. Domani è un altro giorno, come si diceva nel ’68: “continuons le combat”.
Tonino Perna – Il debito verso gli altri
Tonino Perna – 3 dicembre 2011
Il debito verso gli altri
Lucio Magri ha scelto di uscire di scena in una forma modernamente tragica che ci rimanda ad alcuni personaggi dell’epica greca. Anche chi non lo conosceva personalmente, ma ne aveva letto le lucide analisi o l’aveva visto fino a venti anni fa dibattere brillantemente alla tv, è rimasto sconvolto e non ha potuto evitare di porsi più di una domanda.
Come è accaduto, nel luglio del 1995, con la scelta di Alex Langer, mio caro amico, di togliersi la vita a nemmeno cinquant’anni. Ancora oggi molti lo rimpiangono e pensano che i Verdi non sarebbero finiti nella marginalità politica se lui non avesse fatto quella scelta “incomprensibile”. Anche se Alex aveva scritto un messaggio agli amici in cui denunciava la stanchezza del vivere, del sopportare pesi troppo grandi (la tragedia yugoslava in primis) ed invitava tutti a «continuare a lottare per ciò che era giusto».
Alex era un essere ipersensibile, non sopportava il continuare a vivere assistendo impotente alla ferocia dei massacri su base etnica, alla stupidità umana nel distruggere il pianeta, a vedere i bambini di una scuola – dove era stato una settimana prima – scomparire sotto le bombe.
Lucio Magri non ci ha lasciato un messaggio, ma la sua scelta parla di per sé e ci interroga. A teatro come nella vita, uscire di scena è un’arte, difficile e tormentata. Come recita il “regista” in una pièce dal titolo “Uscire di scena”: «L’inizio è facile. Gli spettatori sono ancora freschi, disponibili, curiosi. Gli attori sono carichi di adrenalina. L’entrata in scena è la cosa più semplice del mondo. Sicuramente lo è a teatro. Ma è l’uscita di scena che è una tragedia. Soprattutto per i grandi attori» (N.Nerpa, Il teatro dell’identità, p.175).
E sicuramente Lucio Magri è stato un grande attore, protagonista per decenni del dibattito politico dentro la sinistra italiana, e non solo. Un punto di riferimento importante per gli intellettuali della sinistra “critica” che si andavano formando negli anni ’70 ed ’80. Dopo la scomparsa/dissoluzione del Pci, che aveva tenacemente tentato di bloccare, ha cominciato a ritirarsi, a sentire “estraneo” il teatro della politica. Non ha fatto quella scelta patetica di chi invecchia facendo finta di essere “eternamente giovane”, al passo con i tempi, cambiando colore e casacca per ogni nuova location della storia.
Questo, come ci hanno raccontato i suoi amici più cari su questo quotidiano, rimane il suo primo, fondamentale, messaggio: la coerenza, la serietà, la profondità delle convinzioni. Ma, la sua morte una questione “politica” la pone. Non abbiamo né l’autorità, né il titolo per discettare di questioni complesse come la sacralità della vita o della morte, ma abbiamo il dovere di non fuggire alla questione della “sovranità” sulla nostra vita.
Noi che parliamo di “beni comuni”, che denunciamo il consumismo individualistico, il paradigma dell’homo oeconomicus “solo” davanti alle sue scelte, guidato solo dal calcolo costi-benefici, come possiamo ridurre il suicidio ad un problema personale? Ed il legame sociale, la rete degli amici e degli affetti, le persone che ci chiedono di vivere ancora per loro? Nasciamo non per nostra scelta, ma in quanto un uomo ed una donna decidono di metterci al mondo e, soprattutto, cresciamo bene o male a seconda dell’affetto, delle cure, dell’amore che abbiamo ricevuto.
Non abbiamo nessun debito con tutte queste persone e con il resto del genere umano per tutto quello che ci è stato dato dal lavoro, dall’attenzione, dall’ingegno di chi abbiamo e non abbiamo conosciuto? Non esiste solo il “debito sovrano” (che poi sovrano non è, ma dipendenza dalla speculazione finanziaria), esiste un debito verso gli altri esseri umani, a partire da chi ci sta vicino, anche quando vivere è penoso e staccare la spina può sembrare una liberazione.
In una concezione che non sia neoliberista/consumistica la vita ha un valore che va al di là del ruolo sociale che si ricopre, delle luci della ribalta, della sua utilità sociale, economica o politica. Altrimenti un lavoratore dipendente, anonimo e senza gloria, quando arriva alla pensione dovrebbe pensare solo a come togliere il disturbo. Che poi è quello che vorrebbe il sistema biocapitalistico che ha ridotto la vita e la natura a merce, da usare e buttare quando non serve più.
È una questione che mi è apparsa chiara solo due anni fa quando una giovane donna che aveva subito una gravissima perdita (il figlio) mi ha detto «la vita non è nostra, ma di chi ci vuol bene. Per questo continuo a vivere».
Norma Rangeri – Lo sguardo chiaro dello stratega del gruppo
Norma Rangeri – 30 novembre 2011
Lo sguardo chiaro dello stratega del gruppo
Osservava silenzioso l’immenso corteo del 15 ottobre. Un saluto nello sguardo chiaro, veloce, l’ultimo. Nei ricordi Lucio era lo stratega, come a Luigi Pintor spettava il ruolo di polemista appassionato, due caratteri complementari di quel formidabile gruppo fondatore. Un sodalizio di scintille, tra elementi nobili della migliore cultura politica.
Noi, giovanissimi universitari, salivamo con soggezione le scale di via del Grillo. Per ascoltare e capire, naturalmente mai immaginando che un giorno quelle stanze avrebbero atteso l’estrema notizia. Come con libertà frequentavamo la redazione di via Tomacelli, per noi centro del mondo, osservatorio privilegiato della sinistra.
Discussioni infinite e scontri impetuosi, alimentati quotidianamente da una società in ebollizione, con un partito comunista che spalancava praterie alla critica e il femminismo che portava scompiglio nei rapporti personali e di gruppo. Poi le vicende già declinanti del Pdup, la successiva separazione di Lucio dal manifesto, fino al ritorno di una discussione comune sulle pagine della Rivista.
Quando anche questa esperienza finisce, Lucio, che ne era il direttore, scrive un commento che scandaglia e riassume i temi all’ordine del giorno: l’unità delle forze di cambiamento, il programma di governo, un leader capace di rappresentare l’una e l’altro, la questione di quale sinistra radicale, e, in conclusione, la delusione per non avere saputo mettere in campo «un modo di fare politica non solo predicato, ma praticato».
Appunto. La scelta di morire, lungamente meditata come approdo di un percorso umano e politico, addolora ma non stupisce, è l’ultimo atto di chi non si è mai accontentato di predicare soltanto.
Annamaria Rivera – Lucio Magri e il suicidio di Romain Gary
Annamaria Rivera – 4 dicembre 2011
Lucio Magri e il suicidio di Romain Gary
Quando ho saputo del suicidio assistito di Lucio Magri, non è alla coppia André Gorz-Dorine Keir che ho pensato subito, ma a Romain Gary, il romanziere francese di famiglia ebrea e di origine lituana, non molto celebre in Italia, per quanto tradotto a sufficienza.
L’analogia mi è venuta in mente non per qualche somiglianza fra le ragioni che li hanno spinti alla scelta irrevocabile (chi ha il diritto di congetturare?), bensì per la maniera elegante, accurata, stilizzata con cui entrambi hanno deciso di abbandonare il mondo o forse di abbandonare noi al mondo. Gary lo fa all’età di 66 anni, quando è al culmine del successo, sopraggiunto nel corso di una vita tragica e avventurosa: l’infanzia miserabile nel ghetto di Wilno (oggi Vilnius) in Lituania, il precoce abbandono del padre, che poi egli scoprirà essere stato ucciso dai nazisti insieme a due figli, la fuga con la madre a Varsavia e da lì, a quattordici anni, verso la Francia.
Poi una vita intensa, spesso mondana, segnata dalla costante pulsione a mescolare e imbrogliare carte e piste, personaggi e identità (se ne inventerà almeno cinque). Romanziere prolifico e poliglotta dai molteplici pseudonimi, vincitore di due premi Goncourt grazie a un imbroglio di nomi e identità, grande tombeur de femmes, anzi adoratore profondo delle donne, a cominciare dalla madre, amatissima e mitizzata, gollista convinto e coraggioso combattente per la Liberazione, come capitano delle Forze aeree francesi libere, diplomatico dalla carriera brillante, animalista appassionato, decide di darsi la morte con un colpo di pistola il 2 dicembre 1980, a Parigi, nel suo appartamento di Rue du Bac.
Dopo un pranzo al ristorante in compagnia di Claude Gallimard, torna a casa, chiude le tende della sua stanza, si toglie gli occhiali, ripiega con cura gli abiti su una sedia rimanendo in camicia, si poggia sull’orecchio un telo da bagno rosso e preme il grilletto. Non vuole che chi lo ritroverà sia impressionato dal sangue. Sul tavolino, un messaggio indirizzato al suo editore: «Nessun rapporto con Jean Seberg. Quelli che amano i cuori infranti sono pregati d’indirizzarsi altrove (..) Perché allora? Forse la risposta va cercata nel titolo del mio libro autobiografico, La notte sarà calma, e nelle ultime parole del mio ultimo romanzo “poiché non si potrebbe dire meglio”: in fondo mi sono espresso pienamente».
Un anno prima, l’ex moglie Jean Seberg, l’attrice americana di ventiquattro anni più giovane di lui, dalla quale, dopo aver avuto un figlio, si era separato nel 1970 (ma aveva continuato a frequentarla e a proteggerla), era stata trovata morta di un’overdose di barbiturici in una Renault 5, parcheggiata nel sedicesimo arrondissement di Parigi. L’attrice di Buongiorno, tristezza (1958), regia di Otto Preminger, e di Fino all’ultimo respiro (1959), regia di Jean-Luc Godard, era stata militante per la liberazione degli afroamericani e sostenitrice delle Black Panters.
In una conferenza-stampa dopo il ritrovamento del cadavere, Gary aveva attribuito la responsabilità della sua morte alla Fbi, che l’aveva perseguitata fino a renderla quasi folle.
«In fondo mi sono espresso pienamente», avrebbe potuto dirlo anche Lucio Magri. Entrambi hanno percorso quasi lo stesso periodo storico, vivendolo intensamente da protagonisti, con un acuto senso di responsabilità verso il proprio tempo e l’attitudine a schierarsi dalla parte ritenuta giusta: la Resistenza e il gollismo, Gary; l’antifascismo e il comunismo, Magri. Entrambi con una vocazione “eretica”, come si dice banalmente, non conformista, che li spinge sì a schierarsi ma anche a dubitare, a cercare, a interrogarsi, ad approfondire.
L’uno e l’altro spesso criticati per il cotè mondano del loro stile di vita, per lo spirito dandy, la consapevolezza della propria superiorità intellettuale, un certo narcisismo e il culto della seduzione -che nascondono in realtà una profonda inquietudine, se non disperazione. Entrambi scelgono il suicidio lucidamente, lo preparano con accuratezza, vi si avviano con passo elegante e misurato. Non è freddezza, è invece quella meticolosità che serve a tenere a freno l’angoscia, è quella cura che vale a conservare fino all’ultimo la propria dignità, il rispetto di sé: a morire come si è vissuto.
Una grande lezione di signoria sulla vita e sulla morte. Gli spiriti meschini non sono in grado di comprenderla e rispettarla. Nel suicidio di Lucio Magri non vedono altro che l’esito della depressione, del fallimento politico, della rinuncia. E arrivano a trovare «volgare e urtante» la piccola cerimonia domestica dell’attesa della notizia del suo congedo dalla vita. Non sono in grado di coglierne il senso: cioè il rispetto dei suoi cari verso la maniera di morire scelta da Lucio. Non è solo la meschinità d’animo a renderli irrispettosi. È anche la rimozione della prospettiva della vecchiaia e della decadenza.
In un altro tempo e in un’altra società, i vecchi potevano contare, come tutti, su qualche rete densa di relazioni, amicizie, solidarietà: calde e quotidiane. La sinistra fino agli anni ’70 era anche questo, i gruppi della nuova sinistra erano altrettante comunità in cui si condivideva non solo la militanza, ma anche il tempo quotidiano. Non è più così: come ha scritto Alfonso M. Iacono, non abbiamo perso per le nostre idee, bensì per quel che siamo diventati.
Date le condizioni presenti, la scelta di Lucio è stata realistica: in solitudine, non si può invecchiare degnamente come si è vissuto.
Aldo Tortorella – Bisogna cadere per poter volare
Aldo Tortorella – 30 novembre 2011
Bisogna cadere per poter volare
La scomparsa di Lucio è un dolore grandissimo e più acuto perché moltiplicato dal senso di impotenza e di sconforto per non aver saputo come trattenerlo. Ma se è vero che ha ostinantamnte voluto andarsene, e che le esortazioni più affettuose alla fine non hanno potuto più nulla, non è vero che lascia un messaggio di disperazione. A chi, fallito ogni altro argomento, gli diceva che almeno per il rischio di questo malinteso lui, vero combattente, doveva tornare indietro dalla sua decisione, rispondeva che ciò che aveva da dire l’aveva scritto.
E infatti l’apologo de Il sarto di Ulm è la ripetizione del mito di Icaro: si sfracella al suolo, ma alla fine l’uomo imparerà a volare. Questo voleva dire e questo ha detto con tutta la sua vita. Se per quelli della generazione della Resistenza l’incontro con i comunisti, come accadde anche a me, fu quasi naturale perché erano i più numerosi e i meglio organizzati, per chi, come Lucio, aveva qualche anno di meno e cresceva nel clima dell’anticomunismo più esasperato, dei processi ai partigiani, delle scomuniche – e dello stalinismo – avvicinarsi al Pci fu una conquista intellettuale complicata e difficile.
E, ancor più, lo sforzo per modificarlo. Con uno statuto come quello che il Pci aveva allora, ogni esplicito raggruppamento appariva una violazione della regola. La nascita del Manifesto fu il segnale che la regola era sbagliata, ma non avemmo la capacità di modificarla se non quando fu troppo tardi. Ci ritrovammo quando toccò a me, per incarico di Berlinguer, organizzare con lui la fusione del Pdup con il Pci. Era stato con me vice segretario del comitato regionale lombardo del partito quando io lo dirigevo. E fummo insieme per l’ultima battaglia del Pci.
Lucio non mi ha dato mai molto ascolto, né prima né dopo. Non mi ha dato ascolto neanche questa volta. Ma questa volta mi ha fatto soffrire.
Vincenzo Vita – Un pensiero ancora attuale
Vincenzo Vita (*) – 2 dicembre 2011
Un pensiero ancora attuale
Signor Presidente, colleghe e colleghi, è scomparso all’età di 79 anni, Lucio Magri. Certamente lo ricorderemo per la straordinaria intelligenza, per l’acutezza politica, per la visione culturale e intellettuale che, non condivisa da tanti, fu apprezzata pressoché da tutti.
Corre l’obbligo morale di salutare una figura tanto importante per la storia della sinistra italiana, e non solo. Lucio Magri ha consegnato a noi una richiesta: non fare «inutili commemorazioni», non dare luogo a celebrazioni rituali o a ricordi pieni di stereotipi. Quindi, non farò nulla di ciò che Magri non avrebbe voluto qualcuno facesse dopo la sua scomparsa. Intendo solo ricordarne la grande qualità politica. Voglio evocare il suo stile, della e nella politica. Anzi, forse l’immagine che più preme a chi di noi ha avuto il piacere e l’opportunità di conoscerlo, militando insieme a lui per tanti anni nel Partito di unità proletaria per il comunismo, è quella forma peculiare di approccio al pensiero politico, direi lo stile de il Manifesto: uno stile, oltre che un pensiero, cioè un modo insieme sobrio, elegante e profondo di raccontare la realtà.
Aveva anche il piacere della minoranza, non per gusto estremista (Lucio Magri non fu mai un estremista), ma per la capacità di andare controcorrente, anche quando la corrente andava da un’altra parte, in modo rigoglioso. Dopo una prima esperienza politica nella gioventù democristiana, negli anni cinquanta entrò nel Partito comunista italiano e cominciò il suo cursus honorum: dapprima nella segreteria del Pci a Bergamo, poi nel direttivo regionale lombardo e, infine, nella mitica Botteghe Oscure.
Era uno dei giovani più stimati di quel partito, così importante nella storia italiana, ma non esitò, insieme a Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Eliseo Milani, Luciana Castellina, Massimo Caprara e tanti altri, ad uscire dal Partito Comunista per profonde divergenze sulla questione internazionale, sul giudizio sulla Cina.
Oggi, sembra quasi assurdo parlarne in un sistema politico spesso tumultuoso. Diede vita alla rivista del Manifesto, poi diventata quotidiano, ancora oggi in edicola (e speriamo continui ad uscire!). Rientrò nel Partito comunista, ma ne se ne andò verso Rifondazione, finché uscì del tutto dalla parte pubblica della politica.
In conclusione, vorrei invitarvi a leggere le bellissime pagine di un libro straordinario, intitolato «Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci». Il titolo è una citazione da Brecht. Si riferisce a quel sarto che sognava un mondo più bello e che, pensando di avere le ali, cade. Non riesce a volare.
Nel libro, uscito nel 2009, si ripercorre tutta la grande storia del Novecento. Di quel libro, che è un po’ il suo testamento politico, spirituale, civile e morale, cui tutti dobbiamo guardare, rivalutandone il pensiero con molto impegno, voglio citare una frase, contenuta nella sua introduzione, che forse faceva già allora immaginare il percorso conclusivo della vita di Lucio Magri: «Per una persona ormai anziana l’isolamento è dignitoso, ma per un comunista è il peccato più grave, cui rendere conto. “L’ultimo dei Mohicani” può essere un mito, il comunista solo, e arrabbiato, rischia invece il ridicolo se non si tira da parte».
Preferì tirarsi da parte. Ora lo salutiamo con nostalgia, commozione, ma con l’impegno a mantenere vivo il suo pensiero, che oggi è più attuale che mai.
(*) Senatore del Pd, il testo è il suo intervento al Senato per ricordare Lucio Magri .
Arturo Zani – Un protagonista nella storia travagliata della sinistra italiana …
Arturo Zani (Cgil/Forlì) – dicembre 2011
Un protagonista nella storia travagliata della sinistra italiana….. aveva la capacità di tenerci lontani dall’estremismo
E’ poca cosa la mia, perdonatemi, la posto per un senso di affetto verso Lucio e la storia di tanti di noi. E’ l’articolo che ho scritto un anno fa per il mensile “La Parola” diffuso nella provincia di Forlì-Cesena
Il personale è politico si diceva negli anni ’70. Lucio Magri è morto; suicidio assistito in una clinica svizzera. Ascoltando la notizia mi è salito “il magone”. Forse,per molti dei nostri lettori, questo nome dice poco. Non per me. La sua figura si è intrecciata con la mia vita giovanile e con la mia formazione politica. E’ stato un protagonista nella storia travagliata della sinistra italiana.
Nei primi anni 70 mi avvicinavo alla politica, col Manifesto ed il PdUP. Ricordo la diffusione militante del giornale davanti all’ ITI di Forlì, assieme a Robertino, che invece diffondeva Lotta Continua. Una stagione irripetibile. Fatta di discussioni che duravano ore, di passioni, di delusioni. Fuori e dentro le sedi, fuori e dentro le scuole. Ricordo la voglia di sfogliare “il manifesto” ogni mattina per leggere avidamente le analisi politiche. Cercavo subito le due sigle che amavo di più: la sua, appunto, LM e quella di Rossanda, RR.
Lucio aveva la capacità di tenerci lontani dall’estremismo. In quegli anni focosi era facile cedere alla retorica rivoluzionaria, essere sempre un po’ più a sinistra. Lui riusciva sempre ad essere convincente, ti faceva rimanere inchiodato dentro la sinistra e fuori dal massimalismo. Sembrava si potesse fare la rivoluzione con la lotta di classe e la politica, senza la violenza e l’etremismo. Che nostalgia per quei “fondi” sul nostro giornale che, come si diceva allora, ti davano la linea.
Di lui si diceva che amava frequentare i salotti bene. Ma era diverso da come veniva descritto. Non era mondano, era generoso. Era rigoroso, colto e razionale. Da lui ho imparato l’amore per gli operai, per chi lavora in fabbrica. Ho imparato il gusto della democrazia dei lavoratori. Erano i tempi della FLM, del sindacato dei consigli. Erano i tempi delle più belle riflessioni di Trentin.
Una storia politica, la sua, segnata dalla radiazione dal PCI. Fu il prezzo della coerenza con le sue idee, con l’idea che il comunismo doveva essere libertà: libertà dal bisogno e dallo sfruttamento, libertà del pensiero e della parola. Insieme a Ingrao fu sconfitto all’XI congresso del PCI. Magri, Rossanda, Pintor e gli altri continuarono la loro battaglia di idee. Ingrao li abbandonò. Questo gli pesò. Lo stesso Ingrao scrive nel suo
“Volevo la luna”: “ Ricordo il giorno in cui preparammo l’intervento che avrei pronunciato al congresso l’indomani. Era con me Lucio Magri, un compagno di grande valore … Terminammo di lavorare insieme alle 2 di notte … ma l’errore mio più grave venne più tardi, nel 1969: quando quei compagni diedero vita al “manifesto” … quando, giunti allo scontro in Comitato Centrale, votai a favore della loro radiazione … fu un gesto di tradimento verso quei compagni”. Magri però non ruppe mai il rapporto con Ingrao. Continuò a considerarlo interlocutore principale dentro il PCI. Percorse le strade del maggio francese quando scoppiò. Fu attratto dall’esperienza della rivoluzione culturale cinese, sapendone poi prendere le distanze. Il suo capolavoro politico, assieme agli altri compagni del Manifesto, fu di aver capito, meglio e prima di altri, la natura dell’URSS e dei paesi del socialismo reale. E fu proprio questo a costargli la radiazione.
Voleva unire la sinistra; voleva portarla a pensare un comunismo radicale, libero e felice. Negli ultimi anni si era ritirato. Si mise a scrivere la sua storia del PCI. E’ il periodo nel quale si ammala e muore sua moglie. E’ un dramma personale profondo. Scrive: “E’ scomparsa la mia amatissima compagna, Mara: non solo un dolore ma un’amputazione di me stesso che non rimarginerà”. Arriva la depressione, intreccio di ragioni pubbliche e private. Scrive nel suo libro, evidentemente parlando di sé: “Per una persona anziana l’isolamento è dignitoso, ma per un comunista è il peccato più grave, di cui rendere conto… Il comunista solo, e arrabbiato, rischia il ridicolo se non si tira da parte”.
Questo era Lucio Magri. Il sarto di Ulm, personaggio di Brecht, ucciso dall’ambizione di volare, è l’epilogo della sua vita. Forse Lucio, un po’ come il sarto, si è ucciso perchè voleva volare con la sua utopia e non c’è riuscito: voleva cambiare il mondo ma questo, ora, gli appariva talmente brutto da non essere più sopportabile.
Queste appariranno cose vecchie. Io ho bisogno di ricordarle, se n’è andata una parte di me.